Le ultime notizie e gli aggiornamenti relative al Covid-19 in Italia parlano di una discesa della curva epidemiologica nel nostro paese e quindi un allentamento delle restrizioni. Per fare una fotografia del momento e analizzare cosa ci attende nei prossimi mesi. Abbiamo intervistato in esclusiva il Professor Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore Sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi.

Il trend dei contagi nel nostro paese è in discesa ma la pressione sulle terapie intensive deve essere un dato importante per i prossimi mesi?

La strategia italiana e di tutta Europa è stata quella di mitigare la diffusione. Ci si è resi conto sin dalla prima ondata che il controllo e l’eliminazione della malattia era impossibile viste le caratteristiche ad esempio di maggiore contagiosità di Omicron. In questo momento il 3-4% dei casi sono persone che si sono reinfettate una seconda volta nonostante una prima malattia superata. Credo quindi sia importante una continua attenzione visto l’andamento positivo di questo periodo e la scelta corretta di applicare una mitigazione delle regole. Non riuscendo a controllare il virus, abbiamo chiuso ma non troppo ed aumentato la campagna vaccinale. Stiamo gestendo meglio quindi i casi spalmandoli nel tempo.

È arrivata la comunicazione della cessazione dello stato d’emergenza e delle mascherine all’aperto. Questo fa parte del piano del governo per tornare alla normalità però senza data di scadenza? 

La pandemia finirà quando non se ne parlerà più e si tollererà purtroppo una quota di effetti pesanti e di mortalità. Non siamo ancora a questo livello e quindi non è facile. Ora non essendo stata una guerra lampo è chiaro che questo momento è logorante, visto il morale della comunità. In una fase positiva come questa si inizia a vedere la luce e ci si prospetta una serie di facilitazioni ed un allargamento delle maglie come ad esempio nella scuola con i contatti e le quarantene. Vedo quindi l’esigenza di entrare in una nuova normalità che tenga presente della presenza del virus. La fase di calo della primavera estate la vivremo sicuramente meglio ma dovremo essere pronti per il prossimo inverno dove spero ci sia un’onda e non ondata. Si tratta di avere un approccio intermedio, nel momento dell’emergenza abbiamo dovuto adottare un sistema pesante ma ora si dovrà parlare di auto gestione. Ad esempio in Emilia Romagna si sta già intervenendo in questo senso ovvero si inizia a parlare di sorveglianza e responsabilità.

Prof. Pregliasco, possiamo aspettarci l’obbligo del Green Pass anche in estate cosi da aiutare un ritorno del virus?

Sicuramente per il Covid-19 ha avuto un buon impatto, innanzitutto quello di indurre alla vaccinazione che è un elemento importante. Sarà una decisione politica, ma se manteniamo il green pass garantiremo una copertura massima di tutta la popolazione. Questo elemento ci servirà nel prossimo futuro dove non sarà praticabile sia l’accettazione non facile ma anche per l’organizzazione ed i costi di vaccinazioni troppo ravvicinati. Visto anche il risultato espresso da Israele. Credo quindi che non ci sarà una quarta dose al momento ma una vaccinazione annuale come avviene per l’antinfluenzale, per le persone fragili e per chi vorrà proteggersi con vaccini aggiornati.

Prof. Pregliasco, si attende secondo lei un ritorno in breve termine al 50% di capienza per gli stadi nel nostro paese?

Io credo che sia un destino positivo, perché abbiamo dati che stanno migliorando di giorno in giorno. Rimane però drammatico ancora il parametro della mortalità però sappiamo che come sempre alla fine delle ondate migliorano prima gli altri aspetti e in ultimo quello delle vittime. Sicuramente non dobbiamo abbassare la guardia e continuare una serie di attenzioni anzi dovremmo farlo anche nel futuro. Anche perché questo virus “non se ne andrà”. Omicron ci sta facendo per certi versi un buon servizio. Diffondendosi così ampiamente farà sì che una gran quota della popolazione italiana, vuoi perché vaccinata, infettata e guarita sia protetta e si vada a creare un pool limitato di persone suscettibili in attesa di quello che potrà essere un colpo di coda nell’inverno prossimo.

Prof. Pregliasco, da divulgatore scientifico è cambiato il rapporto tra informazione e scienza?

Non è stato facile questo compito, vista la delusione dei cittadini. Gli stessi, al di là dei singoli, hanno scoperto che la ricerca va avanti per tentativi, per errori, per ipotesi che magari non vengono confermate e tutto questo ha spiazzato il cittadino. Tutto questo ha spaventato e reso colpevoli noi esperti di non essere competenti o avere opinioni allineate. Questo però rappresenta la norma della ricerca scientifica e questo porta quindi ipotesi e ricerche.

I cittadini hanno chiesto regole chiare ed alcune volte questo sono mancate?

Il cittadino vuole certezze e le istituzioni hanno dovuto rincorrere il virus e modulare le decisioni in base a delle situazioni inaspettate. Quindi è necessario uno sforzo corale, ad esempio in un comparto importante come la scuola. Si sapeva che l’apertura delle scuole sarebbe stata una palla lanciata nel vuoto. Serve quindi un lavoro dei dirigenti scolastici, delle scuole e delle istituzioni per far comprendere la situazione. L’assenza di stabilità quindi ha portato al dissenso e a quelle divisioni che sono arrivate.

Prof. Pregliasco, l’importanza della campagna vaccinale è tangibile. C’è però il continente africano che ancora soffre proprio la mancanza dei vaccini?

Si oltretutto non abbiamo dati epidemiologici esatti. Credo che ci sia una sottovalutazione complessiva dei casi anche se la popolazione più giovane ha limitato l’effetto e la mortalità. La questione non è semplice, si è parlato di togliere i brevetti. Questo elemento è importante e va visto come facilitazione della diffusione del vaccino, ma ci deve essere anche la possibilità di produrlo e acquistare i materiali con costi elevati. Vedo però una grande difficoltà della diffusione della vaccinazione, ricordo qualche anno fa in alcuni contesti dell’Africa dove hanno ucciso gli operatori dell’OMS che prospettavano la vaccinazione anti polio o HIV. Non è facile quindi arrivare e distribuire e far accettare tutto questo, visto ad esempio che in Europa, dove il contesto è ben diverso comunque in piccoli gruppi di persone si ha difficoltà a farlo accettare.