Gli occhi di Tammy Faye, biopic drammatico diretto da Micheal Showalter e film d’apertura alla Festa del Cinema di Roma è la storia dei congiunti Bakker, controversi televangelisti che hanno fatto la storia del piccolo schermo americano tra gli anni ‘70 e ‘80. 

FayeDa squattrinati predicatori itineranti a milionarie star dello showbiz conservatore e ultracattolico, Tammy Faye e Jim Bakker (una magnifica Jessica Chastain in coppia con Andrew Garfield) si conoscono e si sposano ai tempi dell’università, la North Central Bible College a Minneapolis. Tra i due nasce subito un feeling: lui è in disaccordo con gli stessi dettami della Bibbia mentre idolatra nelle sue prediche un Dio consumista che ci vuole ricchi e felici, lei con il suo carattere effervescente non ha paura di sfidare la morale evangelica con fondotinta, bei riccioli biondi e abitini alla moda. Lasciati gli studi dopo il matrimonio, si mettono in viaggio per diffondere il verbo. Provvidenziale sarà l’incontro con il frontman della CBN, network religioso che gli affida prima un programma per bambini e poi un appuntamento serale per adulti.

Ascesa e caduta di un impero

Da lì il duo di comizianti, catalizzatori di consenso quanto bramosi di ricchezza e successo, capirà di avere la stoffa per mettersi in proprio fondando l’allora celeberrima PTL, canale che spopolerà anche grazie all’avvento del satellitare raggiungendo giornalmente un pubblico di 20 milioni di persone. La parola di Dio ma anche numeri musicali che vedono protagonista Tammy Faye, diventata intanto cantate di successo, tabù sulla vita di coppia, temi scottanti come omosessualità e AIDS. La popolarità della rete cresce sospinta dalla dirompente vocazione comunicativa dei Bakker, in particolare la leggerezza e l’empatia che proprio il personaggio della Chastain sa sfoderare pure difronte alle tematiche più scomode – memorabile sarà l’intervista a un pastore evangelico gay e sieropositivo. 

Ma ecco che il castello comincia a venir giù man mano che i numerosi scandali finanziari e sessuali che vedono protagonista l’ambiguo e manipolatore Jim Bakker di Andrew Garfield vengono a galla, smascherati anche dal reverendo rivale Jerry Falwell (Vincent D’Onofrio). Negli anni ‘90 l’impero della PTL crollerà sotto il peso delle bugie della coppia – ormai affiatata solo in tv e profondamente in crisi nel privato – e le frodi finanziarie ai danni dei donatori che li sostengono, con offerte sistematicamente sperperate in lusso, sfarzo e progetti megalomani.

Tammy Faye: un personaggio complesso

È uno sguardo ad aprire il film, in una sequenza che mette in primo piano due occhi azzurri contornati da un trucco pesante e da lunghe ciglia finte. Nascondono calore, gioia ma anche dolore e smarrimento, specchio di una vita disastrata all’insegna di una fede incrollabile e troppo spesso sbandata. Si parte dall’epilogo, sola, emarginata, ridotta in miseria e divorziata dal marito imprigionato per frode, per tornare al principio. Una Tammy Faye bambina cresciuta da una famiglia povera e rigidissima, con una madre anaffettiva e inconquistabile che la tiene lontana dalla comunità perché nata da un matrimonio precedente e perciò incarnazione del suo peccato. 

Voglia di riscatto ma anche sincerità, a quanto traspare dal film è questo il principale binomio che muove una donna realmente devota a un’ammirevole interpretazione di Dio: amore assoluto e accettazione contro ogni solitudine e ostracismo. C’è la sua personale visione di fatto alla base dell’iniziale successo del duo Bakker. E nonostante sia difficile credere che la Faye non fosse a conoscenza degli scandali finanziari successivi, il film tenta la strada del riscatto scegliendo di dare risalto alle sue posizioni di sfida contro i detrattori del femminismo e la propaganda anti LGBT. Il risultato, perciò, non è la tipica presa in giro hollywoodiana, ma bensì il ritratto di una donna sinceramente credente quanto ingenua, vittima della dipendenza da farmaci e soprattutto di un marito ipocrita e fedifrago (nonché dalle tendenze omosessuali).

Performance indimenticabile per Jessica Chastain

Tratto dal documentario omonimo, Gli occhi di Tammy Faye resta un racconto canico di ascesa, caduta e redenzione (soprattutto ascesa), senza concedersi particolari guizzi autoriali. E se pure Garfield gigioneggiante non aiuta scadendo un po’ nella macchietta, per fortuna c’è la Chastain (che qui produce e canta anche) a sorreggere il film, regalando una performance indimenticabile. Istrionica e volutamente sopra le righe ma anche intensa, espressiva, umana – con un’imperdibile sequenza di chiusura in cui ormai anziana solca le scene per l’ultima volta intonando Glory Glory Hallelujah – merita la candidatura al Golden Globe per la migliore attrice in un film drammatico, e forse anche qualcosa di più. Se non altro per le interminabili sessioni di trucco a cui si è sottoposta (anche otto ore di fila).