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Dove osano gli artisti. La funzione principe delle note, oltre al solleticare del padiglione auricolare, è quella di creare concetti, rompendo dogmi per mandare avanti una macchina altrimenti ferma. Achille Lauro c’è riuscito, oltre ogni velleità di primo posto. “Io non volevo vincere il Festival”, ha risposto il cantante a Selvaggia Lucarelli nel lontano 2020. In testa c’era ben altro, un messaggio ben più grande di un Leoncino d’oro e del palco dell’Ariston. Il cantante ha portato a Sanremo un mutamento di genere, sia fisico che artistico. Lauro ha dato ascolto al femmineo, facendo parlare il suo lato intimo sul palco di Sanremo. Ha importato il gender fluid in un genere macho, dove il maschile prevale sul femminile, il muscolo sopraffà la grazia e il rutto surclassa il bacio. Il rap e l’Ariston monopolizzati dai suoi quattro travestimenti.

Anche ieri, nel principio della settantaduesima edizione, ha avuto modo di far parlare di sé. Il primo che sale sul palco è proprio lui, svestito dalla cintola in su e scevro da condizionamenti estetici. Stranamente, nessuno fischio. Il brano viaggia, una simil Rolls Royce, ma è nel finale che Lauro lascia l’Ariston con un coupe de theatre da Laurismo musicale. Acqua fintamente benedetta, un ausilio per raccoglierla e giù con il finto battesimo. Inevitabili, a livello nazionale, le polemiche del ceto ecclesiale, anche se Achille Lauro non è nuovo a essere genio dell’estetica.


In principio fu la svestizione di San Francesco. Nel Festival del 2020 Lauro si presenta con un abito nero dai lineamenti dorati firmato Gucci. Porta avanti il brano, poi la musica scompare e l’urlo liberatorio: “Ci son cascato di nuovo”. Via la vestaglia, via lo sfarzo e dentro la nudità totale e assoluta, l’anima spogliata. Poi le accuse: “Ma chi ti credi di essere, David Bowie?”. Lì il genio: con Annalisa si traveste proprio da “Duca Bianco”, infischiandosene delle critiche. Poi i colpi di grazia: la Divina Marchesa Luisa Casati Stampa e Elisabetta I Tudor, per dare uno scacco culturale a tutti. Anche lì polemiche a non finire.

La Chiesa e Achille Lauro, un legame travagliato

Parte della Chiesa, dopo l’esibizione del cantante, ha mosso i suoi dubbi. Il cantante di “Me ne frego è finito nel mirino per la coreografia inscenata durante la sua esibizione. Un’evocazione del sacramento indigesta a monsignor Antonio Suetta, vescovo di Sanremo. Il gesto della popstar, secondo il religioso, “ha purtroppo confermato la brutta piega che, ormai da tempo, ha preso questo evento canoro e, in generale, il mondo dello spettacolo, servizio pubblico compreso. La penosa esibizione del primo cantante ancora una volta ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica evocando il gesto del Battesimo in un contesto insulso e dissacrante”.

Nel dibattito si inserisce anche Domenico “Mimmo” Repice, cappellano dell’università Niccolò Cusano. La riflessione di Don Mimmo non si concentra tanto sull’artista in sé, quanto sull’interrogativo in merito alla messa in discussione del sacramento del battesimo. “E’ più che legittimo – spiega – criticare alcuni esponenti della Chiesa, soprattutto se sbagliano, ma faccio fatica a trovare il senso della messa in discussione del sacramento del battesimo. Mi chiedo cosa abbia voluto dimostrare con questo gesto”. Polemico e sibillino anche cardinal Gianfranco Ravasi in un tweet.


Fino a quando non trascenderemo dall’apparenza, fino a quando non supereremo il dogma: “Eh ma ha copiato”, fino a quando non cerchiamo di andare a fondo nelle cose non apprezzeremo mai l’istinto di un uomo che ha saputo collocarsi nel miglior modo possibile nel momento esatto in cui doveva farlo. Ogni epoca conosce il suo eversore, in particolare l’Ariston: dall’eleganza provocatoria di Domenico Modugno ai saltelli di Celentano, fino ai capelloni tra Di Bari e Di Capri e alle omologazioni di vestiario degli Elii. Che vi piaccia o meno, questa è l’epoca di Achille Lauro, con la faccia da diavolo e i tatuaggi in volto. Dannate cose che mi piacciono.

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