Due cose si possono fare una volta finito di assistere a una partita come quella andata in scena stamattina a Melbourne tra Rafa Nadal e Daniil Medvedev valevole per l’assegnazione degli Australian Open di tennis maschile. La prima: provare altri sport, altre strade in cui misurare il proprio talento. La seconda: provare a capire. Capire a cosa si è assistito, quale il messaggio che i due finalisti hanno deciso di inviarci e rintracciarne il significato.
Nadal e l’Australia, cinque anni fa come oggi
Per farlo occorre fare un passo indietro e riavvolgere il nastro a cinque anni fa. Stessa sede – Melbourne -, stesso palcoscenico e stessa posta in palio – la finale degli AO. In campo allora c’era ancora Nadal. Dall’altra parte della rete sostava Roger Federer. Il più ammaccato dei due era proprio lo svizzero: la sua carta d’identità lasciava già intuire i dolori a cui oggi stiamo assistendo, le sue ginocchia erano reduci da un intervento chirurgico che circondava di curiosità il suo ritorno in campo. Il pronostico era tutto dalla parte dello spagnolo: integro, in forma smagliante e affamato come non mai. Il maiorchino invece perse al 5°set al termine di una partita che si fatica a rivestire di un aggettivo che, dopo quelle quattro ore di gioco, risulta ancora oggi imperfetto e non del tutto aderente allo spettacolo cui si assistette.
I successivi cinque anni hanno portato in dote a Nadal una sequenza di infortuni la cui guarigione più volte lo ha costretto a disertare buona parte delle stagioni in corso. Il Covid, tra stop forzati, positività emerse e remise en forme, ha ulteriormente (e inevitabilmente) alterato i programmi dello spagnolo, strozzato in queste due ultime stagione tra nuovi e vecchi acciacchi che ne pregiudicavano il completo recupero e lunghe pause forzate in cui osservare inerme la sabbia del tempo consumarsi nella sua clessidra.
Nuove generazioni per nuove gerarchie
A prosperare in questo nuovo clima di incertezza e precarietà è stata la NextGen che, approfittando dei frequenti forfait di Nadal e Fderer, ha trovato nel solo Djokovic l’ultimo tiranno da detronizzare per poter dire finalmente compiuto quel cambio della guardia tra vecchia e nuova generazione più volte annunciato e mai realizzatosi fino in fondo. A scanso di equivoci: la voce del padrone è stata proprio quella del serbo, giunto l’anno scorso a una vittoria da un Grand Slam che nessuno è più riuscito a completare dal 1968. Ma eccezion fatta per i grandi appuntamenti, alle spalle del serbo sono stati molti i nuovi vincitori di tornei, c’è chi ha trovato maggior confidenza con la vittoria, chi ha visto rafforzata la propria autostima, chi migliorata la propria classifica. Il tutto per un ranking che da due anni a questa parte fotografa esattamente questa inversione di rotta, offrendo addirittura due italiani nei top10 dell’ATP e presentandosi aperto a nuovi scenari non più accolti come sorprese ma conseguenze di una nuova éra al via.
Stamattina (ora italiana), nella Rod Laver Arena, tutto sembrava congiurare affinché questo cambio della guardia potesse completarsi definitivamente. Daniil Medvevdev, n°2 del mondo, vincitore di Novak Djokovic lo scorso ottobre a New York nella finale degli US Open, battendo Rafa Nadal si sarebbe issato a nuovo n°1 del ranking conquistando il suo secondo Slam consecutivo e assestando forse il colpo finale all’ostinazione con cui ogni egemonia difende il proprio status quo. Il Rafa Nadal che aveva di fronte arrivava a questa finale dopo un’assenza dai campi lunga sei mesi e un rodaggio di poche settimane, interrotto per di più da una nuova positività che aveva tenuto in forse la sua partecipazione agli AO fino all’ultimo. “Due mesi fa – aveva dichiarato Nadal al termine della semifinale vinta contro Matteo Berrettini – non sapevo neanche se sarei tornato a giocare a tennis”.
Mostrare, non dire
Ad imporsi invece è stato Rafa Nadal. In svantaggio di due set, più volte sull’orlo della sconfitta, il maiorchino è riuscito a rimontare chiudendo per 7-5 al 5°set dopo cinque ore e mezza di gioco, conquistando così il suo 21°Slam e staccando i rivali di sempre Federer e Djokovic a quota 20. Inutile cercare aggettivi capaci di rendere l’impresa. Il consiglio, per chi non l’ha vista, è di rivederla questa partita, assaporarne ogni dettaglio: le espressioni, la fatica, la forza di volontà, la voglia di non arrendersi, la capacità di dragare ogni stilla di energia per continuare a restare in campo quando tutto intorno a te ti suggerisce di mollare e ti parla di un copione già scritto. Scriveva Italo Calvino che nell’andare a cercare un significato nei miti e provare poi a tradurlo a parole si rischia di trovare quel che non c’è. Il significato è inscritto in loro, e muti continuano da millenni a impartire la loro lezione. Oggi come ieri, nei colpi di Rafa Nadal scoccati nella notte australiana, crediamo di aver rintracciato un significato cui le parole continuano a non arrivare, e che tuttavia non potrebbe esser detto in modo migliore.