Tom Brady, 44 anni, a un passo dal ritiro. Sta per chiudersi la carriera di una leggenda vivente, di un mito del football americano, icona cinematografica e record man assoluto nel settore. Ma Tom Brady ha una storia che vale la pena raccontare ad ampio raggio. Cresciuto nella Michigan University, dove nei primi anni figura come quarterback di riserva, lotta con l’ansia, vista la frustrazione nel non riuscire “ad arrivare”. Da giovane è tutto più difficile, ma una volta conquistato il posto da titolare, fuoriesce la classe innata di chi sa colorare il cielo con lanci strabilianti. Tutti a guardare quel pallone ovale volare leggiadro. Tom disegna football, così da stabilire record per maggior numero di passaggi tentati e completati in una stagione e diventare l’anno successivo il capitano della squadra.

Terminata la carriera universitaria, viene pescato al Draft NFL dai New England Patriots nel 2000, come 199° scelta, incredibile. Di lui, infatti, gli addetti ai lavori non tracciano un profilo da grande: “Non ha molta forza, non ha velocità sul lungo e non ha agilità esplosiva nel breve, non ha una struttura fisica per competere a livello professionistico: non potrà mai diventare un quarterback in NFL”. La storia ci racconterà invece che mai nessun quarterback ha vinto quanto lui. Tom Brady è The GOAT: greatest of all time.

Tom Brady e il ritiro tra sette Superbowls

La sua prima stagione è da rookie, ma già alla seconda vince il primo Superbowl. Viene nominato MVP dello stesso, lancia per 145 yard, portando a casa un touchdown e senza subire alcun intercetto. È il più giovane quarterback della storia a vincere la finale. Gioca l’anno successivo con un infortunio alla spalla che non gli permette di rendere al meglio. Si tratta solamente del preludio alla storia che sta per compiere. Nei due anni successivi, infatti, vince altri due Superbowl. Occasioni in cui viene di nuovo nominato MVP della finalissima, registra il record, al tempo, di maggior numero di passaggi completati da un quarterback e nel suo terzo trionfo personale gioca la sua miglior partita dell’anno, dati statistici alla mano, nonostante la sera prima il termometro riporti 39,5 di febbre. Ma lui è the GOAT e nel 2005 viene eletto come “sportivo dell’anno” dalla rivista Sports Illustrated.

Gioca gli anni seguenti falcidiato da diversi infortuni. Dopo la spalla c’è il legamento crociato del ginocchio, un dito fratturato e tre costole rotte, ma Brady è più forte di ogni avversità. Nel 2007 conquista la vittoria numero 100 da professionista. Diventa il quarterback titolare a cui servono meno partite par raggiungere tale traguardo. Fa meglio di Joe Montana, suo idolo fin da piccolo e mostro sacro del football. Durante il 2010 diventa il giocatore più pagato della NFL e il più giovane a vincere 100 partite da professionista, premiato, tra l’altro, come MVP della lega; nel 2011 fa un altro record: lancia per 5235 yard, meglio di un altro eroe del football americano: il Dan Marino protagonista del film Ace Ventura: l’acchiappanimali.

Gli anni passano, ma la classe resta, anzi aumenta. Il 2014 è l’anno del quarto Superbowl, il 2015 arriva a 400 touchdown in carriera, il 2016 è la stagione del quinto trionfo, diventa il quarterback più vincente della storia ed il primo ad ottenere per quattro volte il premio di MVP della finalissima.

L’anno successivo compie quarant’anni e premiato come MVP della NFL, è il vincitore più anziano di sempre. Tom Brady non si ferma qui, ovviamente. Nel 2018 vince ancora il superbowl, il numero sei, è in assoluto il giocatore che ha vinto di più nella storia del football, sempre e soltanto con un solo team, quello dei New England Patriots. Una storia memorabile, da sogno. Venti stagioni, diciannove da titolare, simbolo assoluto di una squadra che prima di lui non aveva mai vinto. Ma il risveglio per i suoi amati tifosi è traumatico perché nel marzo del 2020 lascia la squadra della sua vita per approdare ai Tampa Bay Buccaneers. È finita? Neanche per idea. La festa non è ancora terminata. Superbowl numero 7 e quinto titolo personale di MVP. Insomma, giù il cappello senz’altro da dire.