Cambia l’equazione, e con lei cambiano le variabili e le incognite. Ma se il dato fisso è Antonio Conte, allora si può star tranquilli che il risultato sarà sempre lo stesso.
Il senso di Antonio Conte per il calcio, ancor prima che per le squadre che è stato chiamato a ricostruire, è totalizzante e non ammette sconti. In primis per sé stesso, e poi giù giù dai giocatori ai dirigenti, fino a magazzinieri e vari addetti ai lavori. “Affinché una cosa sia vera occorre che si ripeta”, scriveva Robert Musil. L’uomo, in questo caso, di qualità ne ha da vendere e i suoi trascorsi – che si tratti di una nobile da riportare in auge, di una Nazionale da ricompattare o di club stranieri blasonati che han perso la bussola – certificano che non più di coincidenze si tratta ma di vero e proprio marchio di fabbrica, biglietto da visita, tratto identitario.
Il metodo Antonio Conte
Non c’è ambiente che non abbia beneficiato del suo elettroshock. E’ una ricetta sempre valida e sempre giusta, tanto nei confini domestici quanto fuori patria, che si indossi la maglia di un club o quella azzurra della Nazionale. Assunto l’incarico, è come se la macchina guidata dal tecnico aumentasse la sua cilindrata aggiungendo giri al suo motore: i giocatori in dote, affidati alla sua guida, nel tempo scoprono cose nuove su sé stessi, l’attenzione, il coraggio, la disciplina, l’abnegazione. I risultati sono l’ovvia conseguenza. Non è dato sapere nel dettaglio su cosa si basi il suo metodo di lavoro. Restano le bacheche arricchite dai trofei, nuova la fiducia in sé stessi e nuova la consapevolezza del gruppo. E con loro, come tronchi trascinati dalla corrente, le dichiarazioni di chi quelle stagioni le ha vissute da protagonista: “Un martello, che mi ha migliorato tantissimo”, “Unico”, “Gli devo tutto”.
Dopo la prima esperienza in Premier League del 2016 sulla panchina del Chelsea sublimata dalla conquista della Premier League, Antonio Conte da novembre è alla guida del Tottenham, squadra da lui rilevata quando navigava a metà classifica e lontana parente di quella capace nel 2019 di centrare la finale di Champions League. L’obiettivo: riportarla tra le prime quattro della classifica. Equazione nuova, incognite differenti, con il Covid a complicare ancor di più i lavori, tra positività insorgenti e rinvii di partite. A oggi, il dato fisso – lui, Antonio Conte – sembra aver ancora una volta pesato più delle incognite ai fini del risultato finale. Con tre partite ancora da recuperare il Tottenham è quinto in classifica e qualora dovesse riuscire a fare bottino pieno si ritroverebbe appaiato al Liverpool, secondo alle spalle dell’irraggiungibile Manchester City.
L’ottimismo della volontà
Quanto accaduto ieri nel recupero in trasferta contro il Leicester è emblematico della metamorfosi che stanno vivendo gli Spurs da due mesi a questa parte. In svantaggio 2-1 al 94° contro i padroni di casa, gli uomini di Conte in tre minuti sono riusciti a trovare i due gol che hanno permesso loro di ribaltare il risultato. Se c’era bisogno di un’ulteriore verifica che certificasse l’ormai avvenuta fusione tra l’uomo e il suo nuovo ambiente, basta guardare le immagini di gioia della panchina Spurs e quella degli increduli tifosi sugli spalti. La verità è però da ricercare nei tre minuti in cui sono arrivate quelle due marcature. Negli occhi dei suoi giocatori non c’era né l’appagamento di chi era riuscito a raddrizzare una situazione deficitaria, né la speranza di chi sa di doversi affidare solo a un miracolo. Era una fiducia nuova invece ad animarli, quella di chi non si dà mai per spacciato e sa di potercela fare.