Giornata Internazionale della pizza. I dati parlano chiaro: circa otto milioni di pizze sfornate ogni giorno in Italia, quasi tre miliardi in un anno. Il cibo divenuto nel 2017 Patrimonio Immateriale dell’umanità Unesco non conosce alcuna crisi e secondo l’indagine di Cna agroalimentare (Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa) muove un giro di affari, per quanto riguarda gli ultimi dati del 2020, di 15 miliardi di euro.

World pizza day, l’intervista al gastrosofo

Per raccogliere informazioni su uno degli alimenti più antichi della storia mondiale nella giornata che lo celebra, abbiamo intercettato al telefono il gastrosofo Alex Revelli Sorini, alle prese con l’ultimo volume della sua trilogia: il “Dizionario gastrosofico”, 80 lemmi che rappresentano cultura e politica alimentare.

Protagonista di cene in qualsiasi tipo di compagnia, dalla famiglia alle partite del cuore, la pizza registra un trend di crescita anno dopo anno, anche a domicilio. Ma nasce come street food. 

Proprio così, le pizzerie così come le conosciamo verranno molto tempo dopo. Gli scugnizzi napoletani infatti erano soliti girare per le vie della città incaricati di vendere questo alimento dai fornai o dalle massaie che passavano la notte a prepararlo. E sto parlando di pizza napoletana, quella al pomodoro, quella che nasce partenopea!

Nella top3 delle pizze preferite dagli italiani, almeno secondo la quantità di ordinazioni, la Margherita è sempre in testa alla scala dei sapori, amata per l’essenzialità degli ingredienti, la tradizione e la semplicità nel gustarla. Seguono la Diavola e la Capricciosa, rispettivamente al secondo e terzo posto: il gusto non tiene lo stesso passo  del tempo e il tempo per la pizza non passa mai?

Come dicevo, la pizza Margherita, la pizza rossa, nasce quando incontra il pomodoro e nasce a Napoli, ma l’atto di utilizzare una superficie di pane non lievitato è sempre esistito. Esiste in qualunque comunità, cambia il cereale ma il pane sul quale si adagia un alimento potrebbero testimoniarlo persino gli antichi greci. Ulisse la chiamava “mensa” la base di pane che utilizzava per accompagnare il cibo. La base è globale. E lo è ancor più la semplicità. I numeri lo dimostrano, la pizza Margherita rappresenta l’essenzialità. Oltre a questo vi è da dire che qualunque cibo in qualunque comunità per diventare un cibo sociale deve essere un cibo facile. L’alta cucina è rappresentazione, ma alla base di una comunità c’è una combinazione di ingredienti quanto più essenziali possibile. La pizza Margherita è la più mangiata al mondo perché è una pizza popolare e al contempo socialmente alta.

Pensiamo anche al modo in cui linguisticamente ci esprimiamo per andarla a cercare: non si dice “andiamo a mangiarci una pizza” ma “andiamo a farci una pizza”, così come potremmo dire di qualsiasi esperienza. Ha a che vedere anche questo col valore che gli conferiamo?

Per l’appunto! La pizza si muove soprattutto sul livello esperienziale. Personalmente, non credo esista la pizza migliore del mondo: la pizza è meravigliosamente identitaria perché diventa un vestito che indossi in base a dove abiti e prende le tue forme e per questo è di tutti noi. Aggiungo che non è la pizza a comportarsi in una maniera diversa o isterica rispetto ad altri cibi nella storia, tutti i cibi lo sono, non facciamo l’errore di ritenere che sia per forza immutabile e impenetrabile. Tra questi, la pizza è meravigliosamente conviviale e multi generazionale. Qual è il cibo che mangia volentieri un bambino di quattro anni o un nonno di ottanta?

Nella classifica delle città che ne consumano di più, compilata in base agli ordini di pizza sul totale del volume degli ordini, Alghero si colloca in prima posizione, seguita da Fossano (CN) e Città di Castello (PG). Al quarto posto c’è Alba, un altro centro della provincia di Cuneo, mentre quinta si posiziona la torinese Carmagnola seguita da Crotone, Lucca, Trento, Cassino (FR) e Gorizia. Sembra che il nord Italia la gradisca più del Sud. Come può mai essere vero?

Qualunque cibo può diventare la tua quotidianità ma stavolta non è una questione identitaria. Il napoletano dà valore al prodotto che riconosce come di propria produzione, sicuramente, ma probabilmente non tanto quanto qualcuno che non ha questo elemento nella sua cultura sociale. Ha più desiderio e consapevolezza della grandezza della pizza chi la sceglie, non chi la conosce. Prendiamo il Brasile: la pizza in Brasile, e soprattutto a San Paolo, viene considerata un’icona, un patrimonio ereditato dalle origini italiane. Al punto che alla pizza è dedicata persino una festa, il 10 di giugno.

Da gastrosofo, un suggerimento su una pizza che dovremmo provare se non l’abbiamo ancora fatto.

Un’esperienza che si dovrebbe fare è quella che coinvolge l’estasi della mortadella di Bologna igp. Dopo averla appena sfornata (mi raccomando!) con una base di pomodoro, ci si adagi la mortadella. Il calore delle molecole che esprime la pizza in connubio col pomodoro allarga quelle della mortadella e rappresenta una delle cose più goduriose per l’essere umano. Attenzione al pomodoro, che non ce ne sia troppo, se no mi sciupa la mortadella!