Rimane alta nel nord Italia l’allerta per la peste suina africana. Ai tre casi accertati su carcasse di cinghiali nello scorso weekend, se ne sono aggiunti altri cinque. Salgono dunque a otto i casi riscontrati in un’area di poche decine di chilometri dell’appennino ligure, al confine tra le province di Alessandria e Genova. Per cercare di limitare il più possibile il propagarsi del virus un’ordinanza ministeriale, firmata dai ministri Speranza e Patuanelli, vieta quasi tutte le attività nel territorio boschivo dei Comuni interessati.
Una zona che comprende 114 comuni, tra cui Genova, off limits, dove sarà vietata per sei mesi ogni attività che possa avere un contatto con i cinghiali, tra cui la raccolta dei funghi e tartufi, la pesca, il trekking, il mountain bike e le altre attività di “interazione diretta o indiretta coi cinghiali infetti”.
Cos’è la peste suina.
Come riporta il “manuale operativo pesti suine” del Ministero della Salute, la Peste Suina Africana (PSA) è una malattia infettiva altamente contagiosa tra i suidi sia domestici che selvatici di qualsiasi età e sesso. Causata da un virus appartenente al genere Asfivirus è in grado di causare elevata mortalità. Tra gli oltre venti genotipi conosciuti del virus, solo due sono presenti fuori dal continente africano: il genotipo I è limitato alla Sardegna mentre il genotipo II è il responsabile del fenomeno epidemico iniziato nel 2007 in Georgia e poi diffuso nell’est Europa, in Germania, in Belgio ed ora in Italia. Come spiega ai microfoni di Radio Cusano Campus il prof Giuseppe Pulina, docente di zootecnica speciale all’Università di Sassari. “E’ importante sottolineare che la peste suina non si trasmette assolutamente all’uomo. Né per vicinanza né attraverso il consumo di carni eventualmente infettate. E ’una malattia virale, contagiosa che attacca il suino domestico e il suino selvatico, il cinghiale. E può portarli alla morte. Per questa malattia non esiste presidio vaccinale.”
I controlli dagli allevamenti al piatto
La peste suina africana si è espansa a partire dal 2007. Dalle regioni sub caucasiche si è spostato verso nord prendendo tutto l’est europeo. Poi Polonia, Germania e Belgio. È scoppiata in maniera dirompente anche in Cina dove sono stati soppressi centinaia di milioni di capi di suini per poterla circoscrivere. La malattia colpisce pesantemente il sistema della produzione suina ma – ribadisce con insistenza il prof. Pulina – non è pericoloso per l’uomo”. Tra l’altro non c’è nessun rischio che un suino domestico ammalato, a nessun titolo, possa entrare nella catena alimentare. La sorveglianza attiva e passiva parte dagli allevamenti. Lo conferma l’esperto: “I controlli del nostro sistema sanitario sono strettissimi per il suino domestico, che, qualora infetto, non finirà mai nel nostro piatto.”
Anche per la cacciagione il ministero impone una severa sorveglianza. Una volta cacciati i suini selvatici devono essere consegnati agli istituti zooprofilattici che provvedono immediatamente a verificare se la carne può essere utilizzata o meno.