Cinico, grottesco, divertente, deprimente perché infondo realistico, Don’t look up è senza dubbio il titolo del momento. Disaster movie parodiato a firma di Adam McKay, è l’attualissimo manifesto della Hollywood Dem contro l’apatia, l’ignoranza, la mediocrità, il capitalismo finanziario e più in generale la stupidità della razza umana.
La trama di Don’t look up
Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), dottoranda in astrofisica e Randall Mindy (Leonardo DiCaprio), suo professore, fanno una scoperta inaspettata e terrificante: una cometa killer grande come il monte Everest punta dritta verso la terra, l’umanità ha sei mesi di vita. La scioccante verità li distrugge. Catapultati in un circo mediatico che li porta prima alla casa bianca, sbeffeggiati da una presidente (Meryl Streep) tutta presa dalle elezioni di metà mandato, poi nel programma tv The Daily Rip condotto da una plastificata Cate Blanchett tra pop star lasciate dai fidanzati e battutine per intrattenere il pubblico del mattino, fino ad approdare alla canonica gogna social che li trasforma subito in meme. “Lo scienziato sexy” – seppur sedotto dai riflettori – e “la pazza astronoma” per quanto ci provino e ce la mettano tutta, proprio non riescono a farsi prende sul serio. Che l’umanità non voglia essere salvata?
Dal Covid al clima, un film che parla dell’oggi
Satira e fantascienza, unite allo stile inimitabile dell’autore de La grande scommessa, conquistano una lunga schiera di star pronte a mettere il cappello su quello che è probabilmente il film dell’anno, terribile specchio dei tempi. Da Timothée Chalamet a Jonah Hill passando per Mark Rylance, guru tech e ceo di una certa Bash che ricorda molto i vari Musk/Bezos. Primo finanziatore della presidente, è pronto ad accampare rivendicazioni sull’enorme cometa che tra le altre cose, si scopre essere ricca dei minerali utilizzati per fabbricare i suoi telefonini.
Al centro di tutta la storia c’è la negazione collettiva, il rapporto distorto tra verità scientifiche e media, la politica con la p minuscola interessata solo a inseguire il consenso e il favore delle lobby. Tutti nodi venuti al pettine, con due anni di pandemia. Anche se, va detto, il sottotesto non è propriamente il covid – il concept del film è nato prima – ma piuttosto l’emergenza climatica, che spiega anche il rapido coinvolgimento di DiCaprio, presente pure in fase di scrittura (per approfondire).
Il paradosso: quando la critica al sistema diventa fenomeno social
I bersagli preferiti sono naturalmente l’infotainment, le big tech che fanno incetta di dati personali spacciando i loro tornaconti per indiscutibili segni del progresso, la classe politica che riesce a piegare persino le catastrofi ai propri fini più meschini – stupenda la presidente della Streep che organizza una scenografica conferenza stampa sull’emergenza, assumendosi oneri e onori solo per distrarre tutti da uno scandalo sessuale. Con McKay non c’è ne per nessuno, neppure per l’azione di gruppo smontata dall’improbabile attivismo di entrambe le parti: i negazionisti al grido di Don’t look up e i “buoni” di Just look up che pur di sensibilizzare assoldano Ariana Grande. Una flebile speranza – che è più un monito – la ritroviamo solo nel finale, intimo, delicato, dolce amaro. Un ultima cena organizzata da DiCaprio che, mentre assapora commosso il salmone biologico, ricorda.. “avevamo tutto”.
C’è però da fare una riflessione a margine sulla distribuzione di questo Don’t look up. Prima passato brevemente in sala e ignorato nonostante i grandi nomi, poi esploso con l’uscita su Netflix tra tweet e post entusiasti, perfettamente partecipe di quel meccanismo che si propone di sbertucciare. Sarà mica il famoso “cambiamo il sistema dall’interno”?