La data da cerchiare in rosso per il Partito Democratico è quella del 13 gennaio, giorno della seduta plenaria convocata da Enrico Letta con i gruppi parlamentari e la direzione del PD. Una situazione che vede i Dem fra due fuochi: da un lato i tormenti del Movimento 5 Stelle, dall’altra una corsa al Quirinale che rischia di mettere in dubbio la leadership dello stesso segretario.

Mezzo PD tifa per Draghi al Quirinale

Il nome di Super Mario infatti è quello che raccoglie maggiori consensi, ma che al contempo mette maggiormente a rischio la tenuta della legislatura: un governo che tifa per Draghi difficilmente sopravvivrebbe al suo trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale. Eppure Enrico Letta non vede alternative. O meglio, l’alternativa in verità c’è, ma porta a Silvio Berlusconi. Di altre opzioni, nel corso di questi ultimi giorni, se ne sono create concretamente altre due: Giuliano Amato, attuale vicepresidente della Corte Costituzionale ed ex presidente del Consiglio oltreché più volte ministro, e Pier Ferdinando Casini in un vero e proprio ritorno di fiamma democristiano.

Le fibrillazioni Dem sul Movimento

Eh sì, perché i designati alleati di governo, gli amici dell’alleanza giallorossa, non stanno passando giornate facili. Tutto parte dalle scelte di Giuseppe Conte: inizia a diventare scomodo, per diversi esponenti del Movimento, il gioco dello stesso Conte verso Silvio Berlusconi: una storia di bordate, sì, ma anche di occhiolini ed attestati di stima reciproci. Scelte dell’avvocato pugliese, come detto, ma anche di una parte della base, che ha dato il via libera all’accesso al 2×1000, il finanziamento ai partiti, anche per i pentastellati. Scelte che non sono andate per nulla giù all’ex ministro per lo Sport, Vincenzo Spadafora: “Penso che le sue (di Conte, ndr) prime scelte, come accedere al finanziamento pubblico, riabilitare la figura di Berlusconi, astenerci al Senato su Renzi e Cesaro, rimettere in discussione i due importanti referendum su eutanasia e cannabis, abbiano disorientato non poco il nostro elettorato”, le parole di Spadafora al Corriere della Sera, condite dal terrore che queste scelte possano portare i 5 Stelle sotto il 10% dei consensi (nel 2018 presero oltre il 32%). Il tutto condito dai retroscena che vedono l’avvocato pugliese cercare di trovare una linea comune per portare una donna al Quirinale. Una situazione che non fa quindi vivere sogni tranquilli a Enrico Letta, che ha puntato una bella fetta del suo futuro politico su questa alleanza di governo.

Draghi al Quirinale e il PD protagonista

Nei piani del segretario infatti c’è il prosieguo di questa, travagliata, XVIII legislatura. Come in un vero Risiko, per Letta le mosse sono queste: Mario Draghi Capo dello Stato, un nuovo presidente del Consiglio (un tecnico?) a Palazzo Chigi e una nuova maggioranza Ursula a sostenere il 4° esecutivo in una legislatura per traghettare il Paese fino al voto. Gli unici esclusi da questo progetto a trazione PD per Letta sono Fratelli d’Italia, già all’opposizione, e la Lega.

Nel centrodestra: “Al Colle tutti tranne Draghi”

Questo emergerebbe da diverse, riservatissime chat che ruotano intorno alla galassia del centrodestra. A scatenare l’astio istituzionale per la salita al Quirinale del premier, il suo discorso di fine anno: il “nonno al servizio delle istituzioni”, come Draghi stesso si è definito, ha forse commesso un passo falso politico parlando dell’azione dell’esecutivo. “L’importante è che il governo sia sostenuto da una maggioranza come quella che ha sostenuto questo governo, la più ampia possibile”, uno dei passaggi di Draghi, in risposta alle domande dei cronisti. Ma, soprattutto, a qualcuno non è andato giù un’altra risposta: “È essenziale che la legislatura vada avanti fino al suo termine naturale” e con un governo che “va avanti indipendentemente da chi ci sarà. Nella maggioranza o a Palazzo Chigi?