Calcio e Cattedrali non stadi qualsiasi

Dal Pallone raccontato da quelli di 90° Minuto ai tempi “moderni”: che distacco, nello stile, nel linguaggio. Ma il legame con la storia è sempre forte, complicato, da spezzare

Ci sono adagi che restano nella memoria di ogni giovane cronista. Anche a distanza di anni. Anche quando è passato del tempo.

Un collega napoletano che interviene con grande apprezzamento, su Cusano Italia Tv, Maurizio Sansone, un giorno, per far capire il rapporto perverso tra il Calcio e il popolo italiano, ha detto: “Tra Dio, la Maronn(a) e la famiglia, ce sta ‘o pallone, in Italia”.

La prima volta che ha sentito pronunciare questa frase, forse, portava i calzoni corti, nella zona di Fuorigrotta, tempio della napoletanità calcistica. “Do staghe ‘o San Paolo” (dove è lo Stadio San Paolo, oggi “Diego Armando Maradona”). Queste sono frasi che poteva sentire dire o ai genitori, o a uno di essi, il più votato, verso il dio pagano del pallone anzi del Pallone. O da qualche zio attempato con i capelli bianchi.

Un termine paragone che calza a pennello, per le generazioni cresciute con il panino alla mortadella o al salame domenicale, appena prima, alle 18 in punto, di sedersi davanti al televisore per vedere 90° Minuto con la conduzione di Paolo Valenti.

Ricordo con piacere, non con malinconia, quello storico e garbato spazio, costruito su un linguaggio semplice. E noi, dall’altra parte del televisore, a provare piacere e ammirazione, per questi corrispondenti e inviati, spediti a seguire il singolo incontro nelle cattedrali straboccanti di gente capace di manifestare il proprio amore per i colori del cuore.

Stadi quali il “Cino e Lillo Del Duca” di Ascoli Piceno, con Tonino Carino. Il “Cibali” di Catania, poi stadio “Angelo Massimino”, intitolato a un presidente mai dimenticato, nella zona etnea come nel calcio italiano. E pensare che il Catania sia stato dichiarato fallito fa male, per una piazza che ribolle, di passione calcistica.

O ancora il “Via del Mare”, tempio della passione salentina. Il “San Nicola” di Bari. In tempi più recenti lo stadio di Messina, il “Granillo” di Reggio Calabria all’impianto di Catanzaro, fino al “Pino Zaccheria” di Foggia.

Queste sono piazze che hanno chi 70, chi 80, chi, addirittura, 100 anni di storia. Vederle relegate in Lega Pro fa capire quanto sia trascorso, quel calcio dei Rozzi, massimo dirigente ascolano, degli Anconetani, presidente del Pisa, dei Sibilia, numero 1 irpino. Un calcio dimenticato? No. Trascorso, quasi remoto anche se ne parliamo al passato prossimo, perché parliamo di 35 anni fa.

Pensare che Catanzaro abbia fatto la Serie A anche vivendo posizioni di grandissimo spessore, per una squadra costruita con cifre contenute, rispetto agli squadroni del Nord, o delle romane e della Fiorentina.

Un’altra cattedrale, Catanzaro. Un’altra sfida, in uno dei templi del calcio degli anni ’70 e ’80. Laddove giocavano nelle retrovie il romanissimo Roberto Vichi e il suo fraterno amico Claudio Ranieri. Già, l’attuale allenatore del Watford che avrebbe scritto pagine importanti a Valencia e una persino fondamentale, a Leicester giunto agli ottavi di Coppa dei Campioni.

Come dimenticare, di quel Catanzaro, il nostro compagno di viaggio di almeno tre trasmissioni recenti, Massimo Palanca, il mancino che segnava dai corner? E’ stato autore di ben 136 gol prima di capitare in un Napoli targato Maradona-Giordano-Careca, quindi senza poter brillare ulteriormente, in sede partenopea.

E da qualche settimana è tornato a far parlare di sé lo stadio di Taranto, l’ Erasmo Jacovone. Quando parli di lui la gente ancora si commuove. Come tutti quei ragazzi andati via troppo presto, come Meroni, Torino e Roma. Il povero Renato Curi, Perugia. Come tanti figli benedetti che ci hanno lasciato esageratamente presto. Oggi Taranto sta facendo bene in Serie C. Ma è un’altra piazza che merita un’ulteriore opportunità. Perché il legame con la storia, quello proprio no, non si spezza. Mai.

Cose che i contemporanei calciatori, dirigenti, tecnici, staff, potranno, tra qualche anno, raccontare a figli e nipoti. Roba da brividi. Come è capitato a noi, ragazzini innamorati, di questo “gioco”.

E tutto alla faccia di urlatori televisivi, a palla lontana 35-40-50 metri, dalla “fatidica linea bianca di porta”. O di queste false connessioni che impediscono un civile rispetto che chi paga un pessimo servizio televisivo non merita, davvero. O forse, in assenza di prese di posizione nette e votate alla crescita di una nazione intera, sì.