L’Italia invecchia irreversibilmente, ma il Sud ancora di più. Secondo le previsioni demografiche dell’Istat, da qui al 2065 il Paese è destinato a svuotarsi. Nel 2065 gli italiani saranno circa 54 milioni, 6 milioni e mezzo in meno rispetto a oggi. Di questi, solo 10,7 milioni risiederanno al Meridione.
Variazioni demografiche che al Sud comporteranno anche la riduzione della popolazione in età da lavoro, che scenderà di ben 13 punti percentuali, e la concomitante crescita degli anziani, che arriveranno a rappresentare fino al 36% della popolazione.
Sul fronte delle nascite già da diversi anni l’Italia sta affrontando la realtà di un ricambio naturale negativo. Tutto questo nonostante la parziale contropartita di dinamiche migratorie con l’estero di segno positivo.
Istat, Italia: effetto Covid
Secondo il ‘Censimento della popolazione e dinamica demografica’ dell’Istat nel 2020 si conferma record negativo di nascite (405 mila), a fronte di un elevato numero di decessi (740 mila).
La pandemia di Covid-19 ha accentuato la tendenza alla recessione demografica già in atto, e il decremento di popolazione registrato tra l’inizio e la fine dell’anno 2020 risente di questo effetto.
La perdita di popolazione registrata al Nord è legata al forte eccesso di decessi rispetto alle nascite e alla contrazione del saldo migratorio, cioè la differenza tra ingressi dall’estero e uscite verso l’estero.
La diminuzione di popolazione nel Centro si accentua solo lievemente, mentre è decisamente più marcata al Sud e nelle Isole. Il diverso impatto che l’epidemia da Covid-19 ha avuto sulla mortalità nei territori – maggiore al Nord rispetto al Mezzogiorno – e la contrazione dei trasferimenti di residenza spiegano la geografia delle variazioni dovute alla dinamica demografica.
Nel breve termine si prospetta nel Nord e nel Centro una riduzione della popolazione meno rilevante rispetto al Mezzogiorno.
Superato lo shock di breve termine imposto dalla pandemia, le nascite dovrebbero intraprendere un trend di lieve recupero, fino a 414mila nel 2030 e a un massimo di 422mila entro il 2038.
La distribuzione territoriale della popolazione è pressoché immutata rispetto al censimento del 2019. Secondo alcuni dati, il 46,3% risiede nell’Italia Settentrionale, il 19,8% in quella Centrale, il restante 33,8% nel Sud e nelle Isole. Più del 50% dei residenti è concentrato in 5 regioni, una per ogni ripartizione geografica (Lombardia, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia).
In calo il numero di residenti rispetto al Censimento 2019
Al 31 dicembre 2020, data di riferimento della terza edizione del Censimento permanente, la popolazione in Italia conta circa 59 milioni residenti, in calo dello 0,7% rispetto al 2019.
Questo calo è attribuibile alla dinamica demografica registrata tra il primo gennaio e il 31 dicembre 2020. Infatti, il saldo dovuto al movimento demografico totale (saldo naturale più migratorio), desumibile dalle fonti anagrafiche, ha fatto registrare 362mila unità in meno.
Gli stranieri censiti sono circa 5 milioni; l’incidenza sulla popolazione totale si attesta a 8,7 stranieri ogni 100 censiti. A fronte di una maggiore presenza della componente straniera rispetto al 2019, la popolazione italiana risulta inferiore di 537 mila unità.
L’allarme lanciato dal presidente Istat Giancarlo Blangiardo
L’allarme era già stato lanciato in ottobre sul Sole 24 Ore dal presidente dell’Istat, Giancarlo Blangiardo, che era stato chiaro: «Con il passare del tempo la popolazione perde la sua fisionomia iniziale: stante l’aspettativa di vita alla nascita di circa 80 anni, 400mila nascite all’anno sono compatibili con una popolazione che nel lungo periodo si ferma a poco più di 30 milioni, non di 59 come è adesso».
Per l’Istat in futuro avremo meno coppie con figli e più coppie senza.
Entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà.