“Back to that same old place, Sweet home Chicago. Uno dei giri di blues più famosi, celebre per l’interpretazione, guarda caso, dei Blues Brothers. Padrone, Robert Johnson. Un grande bluesman con un obiettivo in testa: esprimere quanto Chicago fosse una “terra promessa”, un’ancora di salvezza per i neri del Sud, in fuga dalle persecuzioni razziali. Chicago come salvezza, come speranza per una vita migliore. Effettivamente, ora che ci fermiamo a ragione, Chicago ha donato una vita migliore a tutti noi. A parte la facile assonanza, che ha reso tristemente celebre Alvaro Vitali, Chicago ci ha regalato uno dei momenti più belli della storia dello sport. Michael Jordan e la sua Chicago.

Michael Jordan contro Bryon Russell. “Lo finta fuori dalle scarpe”, direbbe l’avvocato. Anche il più negletto dei cestisti conosce a memoria quei secondi, quella palla rubata a Karl Malone e quel canestro. Ah, quel canestro (Da leggere come Maurizio Mosca quando dice “Ah, come gioca Del Piero”). Ai posteri, “The Last Shot”. Ecco, qui apro il capitolo “The Last Dance”. Mi è bastato poco per capire perché la serie sui Bulls è vincente. Avevo un grande timore che fosse, perdonatemi il neologismo, “Jordanocentrica”. Invece il “Jordanocentrismo”, grazie a dio, non c’è stato.

Michael Jordan e la sua “The Last Dance”

La serie funziona perché viene valorizzato ogni singolo elemento di quei gloriosi Chicago Bulls, tutte persone che hanno contribuito a scrivere la storia dello sport fino a portare lo stemma di Chicago sul cappello – rigorosamente nero – dei quattordicenni di periferia. Un toro rosso. Brividi. Vero, per tutta la serie c’è Michael Jordan che parla, ma dietro ogni aneddoto ci sono i Bulls. Dietro ogni sua parola si respira Chicago, con lui quanto mai “Sweet Home”. Mi sembra di vedere l’ala grande, o grande ala, Dennis Rodman. Incrocio lo sguardo di Scottie Pippen all’ultimo tiro di John Stockton. Penso a Steve Kerr, Toni Kukoc e a tutti gli eroi di quel “Sei” stampato nel cielo di Utah. Sei anelli. Neanche Frodo Baggins. Ah già, ci sta anche Scott Burrell.

Vero, la serie è praticamente incentrata su Michael Jordan. Ultimo anno del secondo miglior giocatore di sempre nella storia di tutti gli sport, dietro solo a Muhammad Ali. Però, quando vedo “The Last Dance”, io penso ai Chicago Bulls. Penso a Chicago, con tutte quelle luci e quei sogni infranti. Penso a Chicago. “The Last Dance” funziona. E anche tanto.