Michael J. Fox è, per molti, l’attore che ha regalato alla storia del cinema il personaggio di Marty McFly nella trilogia di Ritorno al Futuro.
Oggi, 36 anni dopo il primo capitolo, l’attore è riuscito nell’impresa di diventare qualcosa di ancora più grande. Un ruolo confermato ancora una volta nel momento che, per molti altri, sarebbe di massima disperazione: l’addio alla professione che gli ha regalato fama e felicità in tutti questi anni di lotta contro una malattia implacabile come il morbo di Parkinson. Michael J. Fox non reciterà più a causa delle limitazioni a cui il Parkinson lo sottopone, ma è riuscito a trasformare anche questo momento di sconforto in un segnale di speranza per se stesso e per coloro che guardano a lui con ammirazione in ogni parte del mondo.
Michael J. Fox: “La mia carriera è finita, ma non voglio che la mia vita venga giudicata solo da essa”
Nel suo ultimo libro di memorie No time like the future, Michael J. Fox annuncia il suo secondo ritiro dalle scene, dopo quello temporaneo del 2000. “C’è un tempo per ogni cosa – si legge nelle pagine del libro da poco pubblicato – e per me il tempo di lavorare dodici ore al giorno e imparare a memoria pagine di dialoghi è terminato. Potrei cambiare idea in futuro, tutto può succedere, ma se questa è la fine della mia carriera di attore, così sia”.
Fox non vuole che la sua vita venga giudicata esclusivamente da ciò che ha donato agli appassionati di cinema di tutto il mondo. Il suo è un esempio di resistenza e speranza portato avanti con dignità contro ogni pronostico e parere medico. In una recente intervista, l’attore ricorda che “il dottore che mi fece la diagnosi del Parkinson nel 1991 aveva detto che avrei potuto lavorare al massimo per altri dieci anni”. Arrivati al 2021, venti anni dopo quella previsione, basta questo semplice dato per affermare con certezza che Michael J. Fox è molto più di un attore di grande talento, interprete di figure iconiche nella storia di Hollywood.
Oggi che la comunità scientifica internazionale continua a portare avanti la ricerca contro il Parkinson, quello di Fox rappresenta un esempio di come affrontare la malattia e la prospettiva della morte. “Quando qualcuno mi chiede se vivrò abbastanza a lungo da poter guarire dal Parkinson perché è stata trovata una cura, io rispondo sempre in modo molto schietto che ho sessant’anni e il progresso scientifico richiede molto tempo, quindi non ce la farò. Ma non ho nessuna paura della morte”. Fox sottolinea come sia stata la scomparsa di suo suocero ad aiutarlo in questo processo. “La sua morte e il modo in cui lui l’ha affrontata è stata per me un’illuminazione”, ricorda. “Mentre stava morendo – continua Fox – ha sempre abbracciato quel percorso con gratitudine, accettazione e fiducia. Allora ho cominciato anch’io a fare attenzione alle cose per cui sono grato, e ho capito che proprio questa gratitudine rende sostenibile l’ottimismo di fronte alla malattia o alla morte”.
Ritorno al futuro e gli altri: una carriera degna della sua statura morale
Il ruolo di Marty McFly è quello che ha dato la notorietà a Michael J. Fox. Una parte che, inizialmente, non era neanche stata affidata a lui ma al suo collega Eric Stoltz, sostituito dopo poche settimane di riprese perché incapace di dare al film l’ironia che lo avrebbe poi contraddistinto. Per quel ruolo, Fox costrinse se stesso a turni di lavoro estenuanti, essendo impegnato contemporaneamente con le riprese della serie tv Casa Keaton: durante il giorno, l’attore girava le sue scene per la sitcom mentre dal tardo pomeriggio e per tutta la notte, lavorava sul set del film di Robert Zemeckis.
Tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90, Fox era la stella su cui tutta Hollywood scommetteva. Un Re Mida che trasformava in oro ogni produzione a cui lavorava, da Il segreto del mio successo (1987) a Vittime di guerra (1989), passando per i due sequel di Ritorno al Futuro e fino a Doc Hollywood – Dottore in carriera (1991).
Proprio durante la lavorazione di quest’ultima pellicola, tuttavia, arrivò la notizia che avrebbe distrutto sogni e speranze di molti: all’età di 29 anni, con una carriera lanciata e un futuro di sicuro successo, a Michael J. Fox venne diagnosticato il morbo di Parkinson, dopo alcune analisi a cui si era sottoposto per degli strani tremori avvertiti già durante la lavorazione del terzo capitolo di Ritorno al Futuro. Seguono anni difficili, fino al 1998, nel quale Fox ammette pubblicamente la sua condizione. Come ricordato recentemente dall’attore, furono i giornalisti a giocare un ruolo fondamentale in questa decisione. “I paparazzi erano sempre fuori casa, insospettiti dal mio comportamento, e capii che non potevo più permettere che i miei vicini sopportassero una cosa del genere. Quindi dichiarai pubblicamente cosa mi stava succedendo, e fu davvero una gran cosa. Rimasi colpito – ricorda – da come la gente reagì alla notizia, dal loro interesse e dalla loro voglia di trovare una risposta a questa malattia. Tutto questo mi fece capire che avevo un’enorme opportunità e che non dovevo sprecarla”. Un’opportunità che Fox colse immediatamente, istituendo nel 2000 la Michael J. Fox Foundation for Parkinson Research, da allora in prima linea per sensibilizzare e trovare finanziamenti per la ricerca contro il Parkinson.
Ritorno al futuro insegna ad “apprezzare quanto fantastica è stata la nostra vita”
Recentemente, Fox ha avuto modo di guardare in tv il film che lo ha consegnato alla storia. Proprio questa nuova visione di Ritorno al futuro, gli ha permesso di capirne fino in fondo il significato e il motivo del suo duraturo successo. “Rivedendo il film, non solo mi sono reso conto di quanto fossi stato bravo, più di quanto ricordassi, ma soprattutto ho colto pienamente lo spirito di quella pellicola, e cioè che tutto ciò di cui abbiamo bisogno, prima o poi, è di prenderci il merito di quello che abbiamo fatto e delle vite che, in qualche modo, abbiamo influenzato. Ognuno di noi dovrebbe, ogni tanto, fermarsi, guardarsi indietro e apprezzare quanto è stata fantastica la propria vita, e quanta ancora resta da vivere. Per quanto mi riguarda, spero che i miei figli abbiano un’influenza positiva sul mondo e che la gente continui ad apprezzare quello che ho fatto come attore. Sarebbe ancora più fantastico se fossi riuscito ad aiutare qualcuno ad affrontare il Parkinson. Inoltre – conclude l’attore – tanti grandi chitarristi nel corso degli anni mi hanno detto di aver cominciato a suonare grazie alla scena di Johnny B. Goode in Ritorno al Futuro. Per me, aver convinto John Mayer a suonare la chitarra è la prova che ho davvero raggiunto un risultato importante nella mia vita!”
Per approfondire temi e curiosità legate al cinema, l’appuntamento è con Buio in Sala, dal lunedì al venerdì, dalle 19 alle 20 su Radio Cusano Campus.