Patrick Zaki è libero. E’ stato infatti scarcerato da un commissariato di Mansura. Appena uscito il giovane ha abbracciato la madre. ‘Voglio dire molte grazie agli italiani, a Bologna, all’Università, ai miei colleghi, a chiunque mi abbia sostenuto’, ha detto Patrick Zaki, parlando con l’ANSA, appena arrivato a casa della famiglia a Mansura dopo essere stato rilasciato. Tutto arriva dopo la decisione di ieri da parte del tribunale, anche se le accuse a suo carico restano valide. Zaki era in prigione dal 7 febbraio 2020. “Un abbraccio che vale più di tante parole.
Bentornato Patrick”. Lo scrive su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
Patrick Zaki scarcerato, la giornata di ieri
Riepiloghiamo quanto accaduto nella giornata di ieri. Patrick Zaki, studente ormai trentenne dell’università di Bologna, in carcere dal 7 febbraio 2020, ha affrontato la terza udienza del processo presso il Tribunale speciale d’emergenza per i reati minori, a Mansoura. L’accusa che pende sul suo capo è quella di “diffusione di false notizie”, fattispecie che l’ha portato a essere processato. Nella mattinata di ieri è arrivata la notizia del rilascio disposto da parte dei giudici. Tuttavia l’accusa non è decaduta e il primo febbraio lo studente sarà di nuovo in aula. Il rischio è quello di una condanna fino a 5 anni di reclusione. In poche parole, scarcerato ma non assolto.
I timori della mattina
La notizia di Patrick Zaki scarcerato ha animato la giornata di ieri, con la decisione che intorno alle 12 ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Da 22 mesi aspettavamo l’annuncio della liberazione di Zaki, da quel 7 febbraio 2020 che segnò l’inizio di un inspiegabile calvario. Da anni attivisti, familiari e persone coinvolte nel caso lottano per far tornare in libertà lo studente egiziano ma al momento permane un senso di cautela. E’ troppo presto per festeggiare. Direttamente da Mansoura arriva un messaggio all’agenzia Dire. Poche semplici parole che ci fanno capire che dobbiamo aspettare. “Niente ancora”: è questo il contenuto del messaggio ricevuto dall’agenzia e inviato agli attivisti che a Mansoura seguono il caso di Patrick Zaki e che chiedono l’anonimato per ragioni di sicurezza.
Il riepilogo della vicenda
Era il 7 febbraio del 2020. Patrick Zaki atterra all’aeroporto del Cairo intorno alle 4, ora locale. Il viaggio è per salutare i parenti in Egitto, ma tutto si trasforma in ben altro. Lo studente viene catturato dagli agenti dei servizi segreti. Diventa irrintracciabile per un giorno intero, sparendo dai radar dei familiari e dei media. Dopo tanto silenzio arriva l’associazione umanitaria dove lavorava in qualità di ricercatore a dare la notizia: “Patrick Zaki è stato arrestato l’8 febbraio ad un posto di blocco nel quartiere Jadyala, a Mansura”. Questi i capi d’accusa: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo.
Nei dettagli, la contestazione riguarda alcuni post su Facebook che, secondo il governo egiziano, avrebbero condotto a una conclusione: Zaki è all’estero per una tesi sull’omosessualità e per andare contro l’Egitto. Ad alimentare le paure arriva l’avvocato dello studente, secondo cui Zaki sarebbe stato bendato e torturato per 17 ore consecutive, oltre a essere interrogato anche su un suo presunto legame con Giulio Regeni.
Viene prima detenuto a Talkha, poi trasferito a Mansoura. Arriva infine a Tora per una detenzione preventiva che si prolunga più volte. Ieri c’è stata un’altra tappa di questa storia, ma il rischio è che possa non essere l’ultima.