Le recenti notizie di cronaca che arrivano dalla Valle d’Aosta, dove un’altra valanga si è staccata travolgendo due sciatori nella zona del Piccolo San Bernardo, sopra La Thuile, riportano inevitabilmente il tema delle vittime in montagna d’inverno al centro dell’attenzione.
Fortunatamente per quanto riguarda questo singolo caso non ci sarebbero vittime. Uno degli sciatori è stato estratto dai soccorritori e portato in pronto soccorso. La seconda persona è riuscita a uscire dalla massa nevosa e non sembra aver riportato conseguenze gravi. Con loro c’era un terzo escursionista che non è stato coinvolto ed è riuscito a dare l’allarme. Ma quante vittime registra la montagna ogni anno? Si tratta di inesperienza e superficialità da parte degli sciatori o le cause sono da ricercare altrove?
Le vittime della montagna: il biennio del lockdown
Il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico nel 2020 ha diffuso i dati dell’attività che sanciscono un “record” difficile da pronosticare. Nel bienno inevitabilmente condizionato da lunghi mesi di lockdown, si è registrato il più alto numero di interventi di soccorso nella storia del Corpo. In totale sono state compiute 10279 missioni, di cui 7658 in terreno impervio, con l’impiego di 43247 soccorritori, pari a 29.459 giornate, sfiorando le 200.000 ore totali di impiego. Oltre 450, purtroppo, le vittime in montagna.
In attesa dei dati relativi all’anno corrente, forniamo ai nostri lettori l’analisi del CNSAS sul 2020 che sembra aver superato seppur di poco – per chiamate di soccorso – il 2019, che a sua volta si era chiuso con un significativo balzo in avanti dell’attività di soccorso rispetto al 2018, passando da 9.554 a 10.234 interventi (+7,1%).
Le principali cause
Nell’analisi delle attività che hanno generato le chiamate di soccorso alpino durante il 2020, il primo posto è occupato dall’escursionismo che distanzia di parecchio lo sci alpino, la mountain bike e l’alpinismo seguiti da altre voci numericamente meno importanti. E l’analisi prende forma se si contano le cause degli incidenti: cadute e/o scivolate, su tutti i terreni, occupano la testa della classifica, seguite dalla voce “incapacità” che comprende fra l’altro situazioni quali: perdita di orientamento, sfinimento, ritardo. Al terzo posto troviamo i malori dovuti alle pessime condizioni meteo.
L’analisi. Si approccia alla montagna senza comprenderne il pericolo
Se dovessimo tracciare dunque una linea retta e concentrare ogni riflessione sui risultati potremmo desumere che una parte, anche se minoritaria degli utenti, ha approcciato la montagna senza il necessario equipaggiamento e senza una preparazione di base sulle norme di prudenza e prevenzione ma soprattutto senza la necessaria abitudine a un contesto ambientale molto diverso dalle zone frequentate più abitualmente. “L’impressione – ha riferito a RaiNews il portavoce del CNSAS Walter Milan – è che molte persone, complice il lockdown, si siano avvicinate alla montagna per la prima volta non comprendendo fino in fondo i pericoli che essa comporta”.
L’analisi di scenario, poi, dovrebbe prendere in considerazione anche il fattore relativo all’emergenza pandemica: sembra proprio che la pandemia non abbia minimamente influito sulla diminuzione dei visitatori e che si sia subita soltanto una ordinaria evoluzione: eccezion fatta per il periodo estivo, quando valli e cime sono diventate una delle mete privilegiate per milioni di italiani.
L’appello del CNSAS
Complice il manto nevoso che può occludere la visuale, aerea e terrena, le insidie che si riscontrano sul territorio montano in questo periodo sono molte. La raccomandazione è sempre quella di informarsi e chiedere consigli ad associazioni qualificate: il soccorso alpino chiede di farsi accompagnare da una guida esperta e portare con sé strumenti che consentano di essere rintracciati, come l’apparecchio di ricerca in valanga (ARTVA) e di affidarsi al supporto delle associazioni qualificate, tra queste il Club Alpino italiano di cui il CNSAS fa parte.