La sfida politica è al centro. Uno spazio riformista acclamato da diverse forze che si potrebbero federare insieme (e raccogliere un interessante bacino elettorale). E che non dispiacerebbe neanche ai partiti più forti, sia di destra sia di sinistra. La suggestione riporta alla vecchia e forte Democrazia Cristiana che, una volta estintasi, ha suddiviso i voti centristi post-DC in una serie di formazioni più o meno decentrate.

Il nuovo centro della politica, utile tanto a Letta quanto a Salvini

Partendo proprio dalla Lega, che ha abbandonato le posizioni più sovraniste ed è scesa maggiormente in una posizione di centro-destra filo-europeista, Matteo Salvini potrebbe utilizzare la schiera centrista proprio per arginare lo sprone neo-sovranista di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia. Un Carroccio più moderato sembra essere una richiesta, più o meno esplicita, che proviene dai territori del nord, Veneto e Lombardia in primis. L’idea, a via Bellerio e dintorni, è infatti quella che dalle prossime elezioni, indipendentemente dal futuro di Mario Draghi sempre preso fra Quirinale e Palazzo Chigi, potrebbero non uscire dei veri vincitori. Per questo, partendo dall’assunto che il centrodestra uscirà con un bottino considerevole, un’alleanza di centro-centrodestra è vista di buon occhio per ottenere un margine di governabilità. Lo stesso segretario leghista poi ha espresso il suo impegno in una dichiarazione sibillina, che magari va oltre il confine tracciato da Forza Italia e Fratelli d’Italia: “Io lavoro per l’unità (del centrodestra, ndr), ma c’è chi lo vuole diviso”.
A Roma invece, al Nazareno si discute di ciò che ne rimarrà del governo di larghissime intese dopo l’elezione del Capo dello Stato (Draghi o non Draghi). Per questo Enrico Letta guarda al centro come possibilità di far virare radicalmente verso sinistra la maggioranza, e in qualche modo cercare di fare a meno dell’appoggio proprio della Lega e, forse di Forza Italia, in quel che sarà dopo marzo 2022 (Sergio Mattarella infatti concluderà il suo settennato da Presidente della Repubblica proprio il 3 marzo prossimo).

In politica il centro si farà

Più volte si è fatto riferimento al centro della politica come l’ago della bilancia, tanto per la riforma elettorale (di cui al momento nessuno parla più) quanto per la partita Quirinale. Ma anche per il successivo quadro politico fra Palazzo Madama e Montecitorio. Come un sarto alle prese con un nuovo capo, ad apporre la prima cucitura al futuro centrista ci ha pensato Giovanni Toti: il governatore della Regione Liguria, membro attivo di Coraggio Italia (e leader di Cambiamo!), ha oggi parlato della situazione di centro in una lunga intervista con il Corriere della Sera: secondo Toti “dopo la sbornia velleitaria dei populismi, anche grazie al governo Draghi è tornata la voglia di bilanciare le coalizioni di nuovo al centro. Dove oggi però c’è un vuoto enorme”. In un tavolo immaginario fatto di telefonate, videochiamate e chat, seduti insieme ci sono con lui Matteo Renzi e Clemente Mastella. La conferma la fornisce Toti: ha parlato con il leader di Italia Viva. “Lo faremo ancora nei prossimi giorni – conferma il governatore ligure- e ho appena mandato un messaggio a Clemente Mastella che pure ha lanciato un appello per mettere assieme i petali sparsi del centro. L’idea è quella di unire forze e partiti che hanno una storia comune, che nella prima Repubblica erano rappresentati da Dc e poi pentapartito e nella seconda dal Pdl (il Popolo delle Libertà, che doveva essere la risposta al PD in chiave bipolarismo politico, ndr), ma che oggi sono separati e non in grado di svolgere il loro ruolo”. A chi potrebbe storcere il naso, a vedere componenti di centro-centrodestra e centro-centrosinistra, il pragmatismo del governatore mette a tacere qualsiasi obiezione alla convergenza Mastella-Toti-Renzi: il fil rouge è l’elettorato, “contiguo, passato da Iv a FI e viceversa, che oggi è in parte perso, che magari non vota. Ma ci sono punti in comune, più di quanti Iv ne abbia con Pd e M5S”. L’unione (di centro) fa la forza. Se Giovanni Toti amministrasse il Lazio o la Capitale, inutile immaginare il coro delle tifoserie (un citofonato “Toti-gol“).

Dal Movimento altri seggi per il centro

Sarebbero 25 (20 deputati, 5 senatori) infatti i parlamentari del Movimento 5 Stelle pronti a dire addio al gruppo guidato dall’ex premier Giuseppe Conte: a non andare particolarmente giù ai deputati pentastellati è la questione debitoria fra gli eletti e il Movimento stesso. Una diaspora mai del tutto sedata e adesso rinvigorita dal voto positivo sul 2×1000 che la base ha approvato. Galeotta fu la mail inviata dal tesoriere del gruppo, Claudio Cominardi, per chiedere agli eletti morosi di appianare le mancanze contributive.

Romanzo Quirinale

In tutto ciò, sul tema “prossimo Capo dello Stato” le trattative sono in corso a tutto tondo e in maniera trasversale. Sebbene quello di Draghi sia il nome che raccoglie più consenso, quello dell’ex capo della Banca Centrale Europea fa maturare una serie di insicurezze sulla naturale fine di questa XIII legislatura. Antonio Tajani è categorico: “Se Draghi va al Colle, si deve votare”. Lo stesso numero 2 di Forza Italia poi non chiude all’ipotesi di Silvio Berlusconi dopo Sergio Mattarella: “Sarebbe un’ottima cosa”. Tentennano però gli alleati, da Giorgia Meloni a Matteo Salvini: entrambi sanno che, forse per la prima volta nella sotira della Repubblica, il centrodestra ha tutte le carte per far sentire i loro voti sulla nomina del Quirinale e la sensazione è che nessuno voglia impegnarsi per una candidatura… debole. Persino dal centro Giovanni Toti non nasconde la situazione dentro Forza Italia, quasi avversa alle mire del suo fondatore: “Io gli voglio bene (a Berlusconi, ndr) e lo voterei, ma FI sembra fare di tutto per indebolirlo”. Lorenzo Cesa dell’UDC invece conferma “il dovere di sostenere” Berlusconi, se davvero si dichiarasse disponibile come Capo dello Stato.