Pamela Mastropietro è una giovane ragazza nata a Roma, nel quartiere San Giovanni con un percorso di vita abbastanza travagliato. Dalla separazione dei genitori successa quando aveva 2 anni, all’abuso di alcool dall’età di 12 fino a diventare schiava della droga al punto di trasferirsi nella comunità di recupero per tossicodipendenza di Corridonia, Macerata, quando aveva appena 18 anni.
Il caso di Pamela Mastropietro ha suscitato nell’opinione pubblica e in quella accademica, ogni genere di disappunto, sdegno e risentimento. Innumerevoli domande e pochissime risposte, tutte per lo più eclissate poche settimane dopo da nuovo uno scandalo, un nuovo evento o semplicemente un nuovo post più intrigante.
La scomparsa e la macabra scoperta
È il 29 gennaio 2018 quando su tutti i giornali appare la foto di questa ragazzina neomaggiorenne. Minuta, due occhi grandi e una frangia di capelli castani e lisci che le copre la fronte. Pamela è fuggita dalla comunità Pars che la ospitava da circa tre mesi, senza cellulare e documenti. E’ una ragazza inquieta, con un disturbo di personalità borderline e non è la prima volta che si allontana dalla comunità per cercare una dose. Le ore passano e anche gli appelli in Tv di mamma Alessandra Verni e papà Stefano Mastropietro. Ma di Pamela, nelle prime 48 ore, non c’è traccia.
Poi il macabro ritrovamento. A pochi chilometri da Macerata, in un piccolo fossato non lontano dal cancello di una villetta in Via dell’Industria, un passante nota due valigie abbandonate. Dentro c’è il corpo di una giovane donna fatto a pezzi. La comparazione del DNA conferma: è proprio lei, Pamela. Poche ore dopo la tragica scoperta, esattamente il 1 febbraio, un 29enne di origini nigeriane, Innocent Oseghale, viene fermato dalle forze dell’ordine. Individuato grazie alle immagini di un sistema di sorveglianza all’esterno di una farmacia a Macerata che lo immortalano mentre segue la vittima.
I fatti e il processo
Stando alle ricostruzioni successive, il giorno dopo la fuga dalla comunità, Pamela si reca ai giardini Diaz di Macerata, nota piazza di spaccio della città marchigiana, dove incontra lo spacciatore Oseghale che la convince a seguirlo a casa sua. A casa dell’uomo vengono ritrovati infatti i vestiti di Pamela e alcune tracce di sangue.
Il processo a Oseghale inizia con rito ordinario il 13 febbraio 2019 e si conclude con la condanna all’ergastolo e diciotto mesi di isolamento. Condanna confermata anche dalla corte d’assise sebbene Oseghale abbia continuato a dichiararsi innocente riguardo alla morte della ragazza sostenendo invece che Pamela sia morta per un’overdose di eroina.
Domande e risposte
In queste occasioni emerge prepotente, la funzione basilare che informazione dovrebbe avere nelle storie di tossicodipendenza così come in ogni altro settore di scontro o dibattito. Necessaria per non subire passivamente la realtà e scoprirla solo in situazioni estreme e in modo feroce e brutale. Come il corpo martoriato di una povera ragazza, fatto a pezzi, ammucchiato in due valige e abbandonato in una campagna del maceratese.
Articolo interessante. Non si parla però del cittadino italiano che chiese a Pamela del sesso orale in cambio di un passaggio in macchina