«Lo so che sei forte, ed io di te molto più debole.
Ma, certo, tutto riposa sulle ginocchia degli dei,
se io, per quanto più debole, abbia a strapparti la vita
con un colpo di lancia, perché anche il mio dardo è aguzzo in punta»

Se Kobe Bryant fosse stato Ettore e Michael Jordan fosse stato Achille l’8-24 dei Lakers gli avrebbe dedicato questi versi. Senza alcun dubbio. 434-437, Iliade, Omero. Ettore si rivolge ad Achille e ammette la sua inferiorità. Posso farcela a batterti, pur senza i favori del pronostico. Peccato che la morte di Patroclo abbia scatenato l’ira funesta di Achille.

New York, Madison Square Garden. È il 1998 quando Michael Jordan e Kobe Bryant si affrontano per la prima volta. Niente Patroclo morto, solo una palla da infilare nel canestro. “Lo so che sei forte, ed io di te molto più debole”, avrà pensato Kobe guardando Michael. Brillano le stelle nell’All Star Game. Loro accecano, ma gli occhi restano aperti. Troppa bellezza.

Il ragazzo della Pennsylvania ribalta gli esiti dell’epica. Ettore muore dopo aver esultato, Kobe non esulta anche se acciuffa Michael. Escono vincitori dal campo di battaglia. Una foto storica: entrambi accovacciati, la bocca aperta e un respiro, prima di ripartire per un altro uno contro uno.

In quell’istante la linea è tracciata. La segna Flavio Tranquillo. “Da quel momento – spiega il giornalista di Sky – Kobe Bryant ha soggiogato l’intera esistenza all’obiettivo di superare Michael Jordan”. Soggiogare, letteralmente, significa “Sottomettere con la forza al proprio dominio”.

Il Black Mamba ha stretto i denti per tutta la carriera. Ci è riuscito verso la fine. Kobe è diventato Michael, Ettore è diventato Achille. Quello dei Lakers supera i punti di quello dei Bulls. Omero deve cambiare il finale, ma non ci sta. Nessuno ha ancora fatto i conti con Paride.

Kobe è diventato Achille. Per poco. Al posto di Paride c’è un ammasso di ferraglia con delle eliche. Un rottame maledetto. L’elicottero precipita a Calabasas, colpendo il tallone dell’eroe. Kobe ritorna Ettore e muore. L’epica rimane intatta. Il finale è lo stesso.

Michael riveste i panni di Achille, pure se non è mai stato Ettore. Los Angeles, 24 febbraio 2020. Il microfono, gocce di memoria. Silenzio. Parla Jordan. “Eravamo amici. E adoravo la sua passione. Kobe è stato un’ispirazione per me, perché ho capito che voleva veramente diventare un giocatore forte come lo ero stato io“.

Ditemi cosa cambia rispetto a questo passo: “E allora si andò a sedere, da solo, in riva al mare bianco di schiuma, e scoppiò a piangere, con davanti a sé quella distesa infinita. Era il signore della guerra e il terrore di ogni Troiano. Ma scoppiò in lacrime e come un bambino si mise a invocare il nome della madre.”

Michael e Kobe non si odiavano come Achille ed Ettore. Il loro era un odio agonistico, non umano. Il loro era un amore fraterno. Finisce qui, con Michael che scoppia a piangere davanti a una distesa infinita. Un prato gialloviola, 8 metri per 24.