Tennis: La WTA tiene il punto, niente tennis in Cina

A meno di due settimane dalla dichiarazione del suo Ceo Steve Simon circa l’intenzione di cancellare dal calendario i tornei di tennis ospitati dalla Cina, e in assenza di notizie certe riguardanti la salute della giocatrice cinese Peng Shuai, la WTA non torna sui suoi passi e annuncia la sospensione degli eventi previsti nel paese nel 2022.

In Cina è in ballo molto più di una partita di tennis

La vicenda Peng Shuai, giocatrice che aveva denunciato di esser stata oggetto di abusi sessuali da parte di un membro del Governo cinese, non si è risolta. I video diffusi da Pechino in cui la si vede in casa, o presenziare a qualche torneo, o alle prese con quelli che sembrano gesti della vita di tutti i giorni non ha convinto la WTWA. Né è bastato a convincerla la videochiamata intercorsa tra la stessa giocatrice e il n°1 del Cio Thomas Bach, chiusasi con l’invito a cena di quest’ultimo in occasione del suo imminente viaggio a Pechino in vista delle prossime Olimpiadi invernali.

Troppo stridente la distanza tra il grido d’allarme lanciata da Peng Shuai e le mansuete e accondiscendenti dichiarazioni da lei rilasciate nei messaggi con cui intendeva rassicurare tutti circa la sua salute chiedendo per se stessa privacy e discrezione per il suo momento e la sua vita privata. Prima c’era stato solo silenzio. Un silenzio tanto lungo quanto assordante che aveva allarmato il mondo del tennis – tanto quello femminile quanto quello maschile. E troppo labile è sembrato poi il confine che divideva la verificabilità dei suoi messaggi dalla censura o, peggio, dalla costrizione da cui erano stati indotti.

Un rifiuto che costerà alla WTA decine di milioni di dollari

Solo il circuito femminile però ha proseguito nella sua battaglia tenendo il punto fino all’annuncio di ieri sera. La coerenza del gesto assume ancor più significato alla luce degli oltre 30 milioni di euro che la WTA lascerà sul piatto. Tempo per trovare altre destinazioni e altre sedi con cui colmare il vuoti venutosi a creare ce né; ma non c’è tempo che possa garantire all’organizzazione altrettanti introiti economici.

Per questo grande è stato l’orgoglio da parte di due veterane come Martina Navratilova e Billie Jean King, autrici entrambe di lotte e battaglie all’insegna della parità di genere nel mondo del tennis, felici nel constatare come “il tennis si sia saputo sedere dalla parte giusta della storia confermandosi leader degli sport femminili”.

Da Pechino non filtra alcun tipo di reazione. Grande è invece il dibattito in Occidente circa l’opportunità di continuare a portare lo sport in paesi sprovvisti dei requisiti minimi in materia di diritti umani. Una discussione che assume ancor più importanza in coincidenza di un weekend che vedrà la Formula Uno correre in Arabia Saudita e che in estate avrà nel Qatar la vetrina dei prossimi mondiali di calcio.

Non è un boicottaggio quello adottato dal circuito WTA sulla scia di quelli di America e Russia negli anni Ottanta scanditi dalla Guerra fredda. Non si rinuncia ad una competizione. Con questo gesto si vuol invece dichiarare forte e chiaro che ci si rifiuta di fare affari con un certo tipo di partner che veda nello sport solo il mezzo attraverso cui ripulire la propria immagine agli occhi del mondo. E visto il calendario, la ricchezza degli appuntamenti e il loro prestigio e la fermezza con cui la WTA per prima ha dato seguito alle sue intenzioni, c’è da credere che possa rappresentare una svolta storica che, se anche non dovesse raggiungere lo scopo prefissatosi, avrà comunque contribuito a lasciare il re nudo di fronte alle sue contraddizioni.