Presentato in anteprima mondiale a Venezia78, dove è valso il Leone d’argento alla sua regista Jane Campion, Il potere del cane è un western drammatico made in Netflix, basato sul romanzo omonimo di Thomas Savage.

La trama

Ora in sala, dal 1 dicembre in streaming, è la storia dei fratelli Burbanks, due Romolo e Remo del West: Phill, rude e violento mandriano (alias il prolifico Benedict Cumberbatch) e George, borghesotto di buon cuore interpretato da Jesse Plemons. Siamo negli anni venti del novecento, la coppia del Montana cerca di mandare avanti al meglio l’enorme ranch di famiglia, nonostante le divergenze. Ma la situazione è destinata a precipitare con l’avvento di Kirsten Dunst, vedova di un medico suicida che gestisce una tavola calda con l’introverso figlio Peter. Il caso vuole, infatti, che George se ne innamori e, dopo averla sposata, la porti con se alla tenuta, dominio indiscusso di Phill. Da lì in poi quest’ultimo non smetterà di tormentare la donna, considerata opportunista, e il giovane al suo seguito, deriso perché dai modi (solo apparentemente) gentili e forse omosessuale.

Il west secondo Jane Campion

jane campionScritto e diretto da Jane Campion, regista neozelandese che sceglie proprio la Nuova Zelanda per le desolate ambientazioni, Il potere del cane racconta un mondo violento e maschile. Per farlo sceglie di indugiare sui particolari, dando rilevanza a oggetti, rituali, gesti, perfino i momenti di scontro o incontro non sono mai diretti ma mediati dall’azione o da espedienti: il pianoforte, l’intreccio della corda, l’ossessiva lucidatura che Phill riserva alla sella del mitico e defunto Bronco Henry, reliquia di un mentore, esposta nel fienile. È un film lento, diviso in capitoli come un libro (dettaglio che poco impatta sulla narrazione), procede imperscrutabile verso un finale destinato a scoprire finalmente le carte dei misteriosi protagonisti, e a sorprendere.

Grande prova per Cumberbatch, con un personaggio che da sfogo a una virilità tossica, inquietante, complesso, incredibilmente ambiguo nella sessualità e nelle intenzioni, ma anche per la Dunst, che nella parte di moglie fuori posto e per questo alcolizzata, non è da meno. E poi c’è suo figlio, ragazzo allampanato, votato a difenderla, che giocherà un ruolo fondamentale – spiegandoci anche il titolo, preso da un passo della Bibbia –  in quello che sembrava un tipico film sulla rivalità tra fratelli, ma si rivela un agghiacciante trattato sull’odio.