DINO uno di quei nomi che hanno fatto la storia come Diego come Marvin come tutti quelli del Partenone dello Sport

La nostra storia è dedicata a chi la STORIA l’ha saputa scrivere e in maniera incisiva: Meneghin, l’unico eletto giocatore presente nella NBA’s Hall of Fame

 

Ci sono nomi che hanno fatto e scritto, la STORIA. Se dici Diego pensi a uno dei più amati pittori di parabole nei due secoli di Calcio che ci portano dai tornei inglesi ai giorni nostri. Parli di Tennis e pensi a Rod Laver, a Nicola Pietrangeli, a Bjorn Borg e a tutti quelli venuti nei successivi decenni. Anche ad onorevoli avversari avuti sul cammino, quali Mc Enroe e Connors.

Quando nella Pallacanestro dici Dino può essere solo lui. L’unico italiano presente nella Hall of Fame di Springfield, dove venne introdotto grazie a una lettera di presentazione firmata da Dan Peterson, suo allenatore a Milano. E dall’immenso Roberto Allen Mc Adoo, al secolo Bob.

Dino ha spartito la fama di dominatore d’Europa con Arvidas Sabonis. Loro, sono stati i due “centri” (pivot) più forti d’Europa.

Il nostro beniamino e rappresentante eccelso è nato il 18 gennaio del 1950 ad Alano di Piave, provincia di Belluno.

Inizia con l’Atletica Leggera, con il Lancio del Disco. Notato dallo staff di Varese, Aza Nikolic in testa, viene chiamato in palestra. Anche rafforzando il suo fisico con un lavoro mirato.

Duro sotto canestro anche nelle partite tra amici ma leale, ha rappresentato i migliori periodi per Varese e Milano. Con la prima ha giocato per 10 anni di fila, una finale di Coppa dei Campioni vincendone 5.

A Milano arriva nell’estate del 1981, già vincente e temuto, chiamato dall’ex guru della Nazionale del Cile. E già conquistatore dello scudetto al terzo anno di Bologna con la Virtus 1976, Dan Peterson.

Lo volle l’allenatore-telecronista per far tornare grande Olimpia Milano. Intorno a lui e a D’Antoni Tony Cappellari costruisce una formazione da brividi. Dino e Franco Boselli, Roberto Premier, Ken Barlow, Joe Barry Carroll. E poi soprattutto l’asso dei Los Angeles Lakers Bob Mc Adoo. Uno che aveva vinto (!) due titoli NBA.

Dino avrebbe vinto altre due Coppe dei Campioni. Nell’87, con Milano prima in Europa a 21 anni di distanza dalle leggendarie Scarpette Rosse del Simmenthal. L’anno dopo, sempre contro il Maccabì Tel Aviv di Doron Giamcky, Lee Johnson e dell’ex Barlow.

Tutto questo senza in pratica mai fare le vacanze. Perché Dino è sempre chiamato, come avviene per Marzorati, Sacchetti, Villalta, Caglieris e Riva, in Nazionale. Ogni due anni le ferie sono cosa riservata ad altri.

Con loro guidati da Sandro Gamba, a proposito di ex Scarpette Rosse di Milano, l’Italia vince il Campionato d’Europa per Nazioni a Nantes nel 1983. E lo fa davanti a una Spagna davvero talentuosa, quella di San-Antonio e del playmaker Corbalan. E il che chiude uno stupendo ciclo già impreziosito dalla medaglia d’argento del 1980 a Mosca nella finale persa coi russi.

Dino dopo Los Angeles 1984 lascia la casacca azzurra. prosegue a contribuire in maniera determinante alle vittorie dell’Olimpia fino all’inizio degli anni 90. Quando sceglie la sicurezza di Bepi Stefanel e Coach Tanjevic per terminare il suo lunghissimo percorso di 29 stagioni nella bella città di Trieste.

Contro Varese, cosa riservata agli eletti, ha il piacere e la forte emozione di giocare contro Andrea, suo figlio, classe 1974, guardia e ala che fa bene anche in Nazionale. Dove l’erede conquista l’Europeo del 1999 con Dino team manager azzurro. Una favola, non una storia come tutte le altre.

La festa d’addio lo accomuna a Mike D’Antoni, che a differenza sua, prosegue come tecnico, nella pallacanestro NBA.

Dino diventa prima team manager poi presidente federale. Attualmente è numero 2 della FIBA, la Uefa della Pallacanestro, per intenderci. Quando è chiamato in causa partecipa attivamente a tante iniziative del mondo del Basket.

Un pianeta che gli ha riservato la più grande gioia in quegli Stati Uniti d’America che lui aveva rifiutato per la sana dote della coerenza una prima volta a inizio anni 70 e nel 1976. In quest’ultimo caso in quanto proveniva da un infortunio. Nel 2011 Dino è presentato da Bob Mc Adoo a Springfield, sede della Hall of Fame della Lega Professionistica NBA. Per essere inserito nel Tempio delle Celebrità, unico giocatore italiano a ricevere il massimo onore mondiale. Perché è vero che prima di lui ci sono entrati Cesare Rubini, il Principe, e Sandro Gamba, ma da allenatori.

Il triestino, già olimpionico nella Pallanuoto nel 1948, avrebbe proseguito la striscia vincente ottenuta sui parquet da Coach. La stessa cosa fatta da Sandro Gamba. Conquistatore d’Italia e d’Europa con Milano da atleta, sul tetto del Vecchio Continente come selezionatore della Nazionale.

Dino è stato ed è ancora oggi il primo e unico giocatore degno di essere messo nello stesso posto sacro dei Jabbar, dei Magic Johnson, dei Larry Bird, dei Michael Jordan, dei Drexler.

Per rinfrescare la mente agli sportivi che si fanno raccontare le storielle, nel mondo del Calcio, quando si utilizza a sproposito la parola Campione, Dino Meneghin ha vinto 7 Coppe dei Campioni su 12 finali giocate, 12 scudetti su 29 campionati di Serie A, senza dimenticare 2 Coppe delle Coppe e 1 Korac, ma soprattutto 3 Coppe Intercontinentali ; oltre a un Campionato d’Europa con l’Italia nell’83. Sempre in azzurro ha ottenuto due medaglie di bronzo continentali, nel decennio precedente l’oro di Nantes.

Un esempio assoluto. Sul piano della serietà. Della riconoscenza. Del rispetto per il prossimo, alla fine di ogni partita. Per quelle grandi doti di cui in tantissimi, tra i suoi avversari di un tempo, parlano, ammirati. Ancora oggi. Dino-Dino.