Davide Lepore ci ha confidato : “Non avrei mai cambiato l’orario ai Simpsons. Non sono cartoni per tutti”. Così ha parlato a  Radio Cusano Campus, durante  Rossi di Sera.

Come descrivi la vita del doppiatore?

“Noi siamo degli esecutori. Il “grosso del lavoro” già lo ha fatto l’attore. La difficoltà nostra è stare nei tempi imposti dalla recitazione di un’altra persona. Un buon doppiaggio non può prescindere dall’adattamento del dialogo. Il labiale deve cercare di ricalcare il più possibile quello che poi si andrà a sentire. Il doppiaggio è l’unico ramo della recitazione dove se non c’è talento e tecnica non ci si può improvvisare, ed il motivo è molto semplice, non c’è la fisicità che ti aiuta. Puoi usare solo ed esclusivamente la tua voce”

Come hai capito che oltre alla recitazione tradizionale, eri portato per il doppiaggio?

“Ho fatto prima il doppiatore che l’attore. Cominciai  con Riccardo Garrone tantissimi anni fa. Avevo 4 anni. Dovevano farmi doppiare perchè non erano sicuri che mi ricordassi le battute. Il problema fu che al regista non piacevano le voci degli attori che mi avrebbero doppiato, e provarono a farmele recitare. Questa fu la primissima volta al leggio. Qualche anno dopo, una carissima amica di famiglia chiese a mia madre e mio padre, se erano d’accordo a far provare me e mia sorella (Giorgia Lepore NDR), a fare qualche turno di doppiaggio. Da quella prova sono passati esattamente 46 anni.”

La carriera tua e di tua sorella hanno sempre camminato parallelamente. Chi vi ha accompagnato lungo questo lungo percorso?

“Il merito, ovviamente, è stato dei nostri genitori, che ci hanno sempre fatto approcciare a questo mestiere come se fosse un gioco. Questo è stato il loro grande pregio. Oggi purtroppo io vedo delle cose veramente agghiaccianti. Bambini che tra un anello ed un altro fanno i compiti nei corridoi degli studi di registrazione, o che fanno altro. Ecco questo no. Io tra la vita ed il lavoro, da bambino, ho scelto sempre la vita. Non ho mai mancato ad una festa di compleanno, o una partita con gli amici. Molti purtroppo hanno rinunciato crescendo, anche molti talenti. Preso per il verso sbagliato questo lavoro diventa noioso, e non può assolutamente accadere a quell’età.”

L’arte e la musica hanno sempre fatto parte della tua famiglia giusto?

“Assolutamente si. Mio nonno e mia nonna erano capocomico e soubrette di avanspettacolo. Mia nonna ha lavorato con Totò e tantissimi mattatori. Mia madre era l’attrice giovane della compagnia di Sandro Randone. Dal lato musicale, mio padre ha scritto tantissime canzoni per artisti enormi. Bobby Solo, Peppino di Capri, e tanti altri. Ha lavorato anche alla CAM, dove ha composto tantissime colonne sonore. Mia sorella Giorgia, prima della grandissima Cristina d’Avena, ha cantato tutte le sigle dei cartoni animati fino a quel tempo. Diciamo che la nostra storia si intreccia con buona parte della storia del teatro e la musica italiana.”

Tu hai lavorato a tantissimi film e con tantissimi attori e doppiatori meravigliosi. Ti infastidisce essere ricordato però per le tue interpretazioni più pop e recenti, vedi I Simpson oppure i Griffin?

“Io sono legatissimo a Milhouse e Chris Griffin. Mi hanno regalato tantissime soddisfazioni e con loro sono potuto entrare nelle vite di tantissimi ragazzi e ragazze. Non ti nego però che dopo aver doppiato film importanti, come Shining, o aver lavorato con doppiatori del calibro di Ferruccio Amendola, essere riconosciuto solo per quei ruoli,mi ha sempre dato fastidio. Ora molto meno, ma all’epoca ho sofferto.”

Questo genere di cartoni, secondo te, sono adatti ad un pubblico giovane?

“Assolutamente no. All’inizio i Simpson andavano alle 22.30 con il bollino rosso. Spostarli al primo pomeriggio è stata una scelta assolutamente sbagliata e azzardata. Anche per il nostro lavoro è stato tutto molto più complicato, perchè abbiamo dovuto doppiare due versioni per volta dello stesso episodio. Definirli cartoni animati è assolutamente fuorviante, perchè sono a tutti gli effetti delle serie tv per un pubblico di giovani adulti. Premesso, io li adoro, ma non si possono mandare alle 14, dopo pranzo, dove spesso i ragazzi mangiano da soli. Anche da qui passa l’educazione dei nostri figli. Oggi sono sempre più precoci.Hanno accesso a contenuti che non sono per la loro età, questo è il mio pensiero.”

Quello del doppiatore è un lavoro avvolto nel mistero. Ci racconti anche la preparazione ad un doppiaggio?

 

“È un lavoro che conserva il suo fascino anche grazie a questo alone. È la magia del doppiaggio. Una cosa fondamentale che cerco sempre di insegnare ai miei allievi è il rispetto dei ruoli. Non puoi preparare un ottimo doppiaggio senza rispettare tutti i ruoli. Ogni figura che interviene è fondamentale. Tutti i doppiatori vanno diretti e accompagnati durante il turno. Non esiste un solo attore che può da solo, senza assistenza, senza direttore di doppiaggio, portare a casa un lavoro che sia fatto al meglio delle sue possibilità e che dia il massimo della resa sullo schermo.  Il doppiatore è la parte fondamentale di un ingranaggio meraviglioso ed enorme, che se gira alla perfezione, ci darà l’illusione che quel personaggio stia parlando con la sua voce, e non con quella di un altro attore.”

 

 

Le nuove generazioni di doppiatori, capiscono queste sfumature? Riescono a capire l’importanza del loro ruolo?

 

“I giovani doppiatori oggi hanno molte più difficoltà da affrontare. Il Covid, purtroppo, ha praticamente azzerato i rapporti tra gli attori. Mi spiego meglio. Il consumo delle serie in streaming ha fatto si che sia aumentato moltissimo il lavoro, ma purtroppo le restrizioni sanitarie impediscono agli attori di lavorare insieme al leggio.  Era un modo anche per instaurare i rapporti. Si lavorava anche meglio. Ci si dava la battuta, ci si guardava. Adesso tutto è doppiato in colonna separata (da soli ndr). Ecco che torna la figura del direttore di doppiaggio, al quale l’attore deve affidarsi perchè lui ha una visione d’insieme del film e dà indicazioni fondamentali. I ragazzi che si approcciano adesso si trovano ad affrontare un mondo che li isola un po’. Soprattutto prima si poteva assistere anche ai turni dei colleghi più grandi, o più famosi.

 

Davide Lepore è più attore o più doppiatore?

“E’ l’uno e l’altro. Per quanto sembrano simili, sono due ruoli assolutamente distinti e separati. Sono due interpretazioni completamente diverse. Il doppiaggio ti da la possibilità di vivere tante vite. La recitazione oltre a questo, ti da la possibilità di caratterizzarle, di mettere del tuo. Recitare è uno scambio di energie. Non sei da solo. Con chi è sul palco con te si crea un’alchimia che è difficile da spiegare, e soprattutto da ritrovare in uno studio di doppiaggio. Sono due aspetti meravigliosi che compongono la mia vita, e non rinuncerei mai a nessuno dei due.”

Hai la percezione di essere riuscito a fare un lavoro che ti soddisfa?

“Si assolutamente. Ma non vuol dire che sia faticoso. Io spesso mi scontro con chi, un po’ sornione mi chiede di raccontargli la mia giornata, pensando che sia fatta di lustrini e divertimenti. Il lavoro, lo studio, il sacrificio sono alla base di chi vuole intraprendere la carriera di doppiatore. Le giornate di lavoro sul set o in sala di doppiaggio durano anche 12 ore, e a volte torno a casa veramente massacrato. Io poi ho anche il ruolo di direttore. La responsabilità di ciò che andrà in onda è sulle mie spalle, quindi altro stress che si accumula. E’ veramente dura. Poi il fatto che io vada a lavoro col piacere e con il sorriso, è un’altra storia, ma ciò non vuol dire che non sia impegnativo.”