Era l’aprile del 2020, erano trascorsi trenta giorni dall’inizio del primo lockdown e il mondo dello sport si interrogava su come e quando poter riprendere le sue attività. Le informazioni, così come le conoscenze, allora erano ancora poche; la voglia di provarci cozzava contro un avversario che tutti le discipline fin lì non avevamo mai affrontato e che adesso sembrava mettere a rischio la loro stessa sopravvivenza. Anche per chi, come il rugby, era solito rialzarsi dopo qualsiasi placcaggio.

Distanziamento e rugby, un binomio impossibile

La parola d’ordine di quei giorni era distanziamento. Scienziati e dipartimenti si misero all’opera per capire quali sport potessero arrivare prima degli altri a un compromesso con il Covid e su quella ipotizzare le prime strategie di ripartenza. Si capì che l’attività indoor era la più complicata, che la sanificazione degli ambienti diventava ora imperativa e che tra tutti gli sport ce n’era uno che più degli altri si presentava incompatibile con la pandemia: il rugby.

Rugby e distanziamento son termini in antitesi tra loro. Sport fondato sul contatto, il rugby pagò a caro prezzo uno stop che per lui durò più che per gli altri. Il mitico Trofeo Topolino si trovò costretto per la seconda volta in quasi sessant’anni di storia a dover cancellare l’edizione di quell’anno, il resto dell’attività non aveva alcuna informazione su cui provare a immaginare una ripresa e gli allenamenti – privati del contatto – proseguirono più per dovere di conta, ostinazione a non mollare, impegno preso a non mollare e a non abbandonare.

Il leit motiv di quel primo lockdown raccontava di un Covid la cui azione livellatrice non faceva sconti. E invece col tempo capimmo che non era così, e che alcune realtà finirono col pagare un prezzo più alto. Anche nel rugby. La pandemia infatti placcò duramente un progetto federale avviato più di dieci anni prima con l’intenzione di voler portare quello sport all’interno degli Istituti penitenziari e che in breve era riuscito ad attecchire a Torino, Bologna, Roma e altri istituti penitenziari.

Valori ovali e valori repubblicani

Rugby dietro le Sbarre. Questo il nome del progetto il cui responsabile, Stefano Cantoni, intervistato su Cusano Italia Tv, contribuì ad illustrare con tutte le difficoltà legate a quei giorni incerti che di colpo azzerarono tutta la strada lentamente fatta in quegli anni. E però a offrir sostegno s’impara che prima o poi se ne riceverà altrettanto, ed è stato bello, giusto oseremmo dire, scoprire che tra le trentatré onorificenze al Merito della Repubblica Italiana conferite dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a cittadine e cittadini che si sono distinti per atti di eroismo, per l’impegno nella solidarietà, nel volontariato, per l’attività in favore dell’inclusione sociale, nella cooperazione internazionale, nella promozione della cultura, della legalità, del diritto alla salute e dei diritti dell’infanzia, c’è anche il nome di Walter Rista, Presidente dell’associazione Onlus “Ovale oltre le sbarre” promotrice del progetto “Il Rugby nelle carceri”.

Avanza, sostieni, continua. I principi su cui si fonda il rugby sono questi tre. Sono coordinate utili per la navigazione anche lontano da un rettangolo verde e, a giudicare dagli esempi che hanno guidato la scelta del Quirinale, si direbbe coincidano sempre più con quelli repubblicani del nostro paese.