25esimo film del MCU, il primo dedicato a un supereroe asiatico, Shang-Chi e la leggenda dei dieci anelli è un’origin story dai forti connotati fantasy, ben oltre gli standard Marvel, che si inserisce in un un percorso – iniziato nel 2017 con l’amatissimo Black Panther – di apertura a nuove rappresentazioni e declinazioni del tradizionale immaginario da cinecomic. Coniugare azione, divertimento ed esagerazione tipici del genere a magici regni segreti e affascinanti culture da scoprire, questo l’obiettivo prefissato da casa Disney e centrato in pieno dal Shang-Chi di Daniel Cretton.
Le origini di Shang-Chi
Il film inizia in medias res, dopo un prologo evocativo e ben fatto che apre il racconto alla millenaria mitologia cinese. Temporalmente siamo nel post Endgame, ma è un dettaglio poco rilevante ai fini della storia. Gli amici Sean e Katy vivono a San Francisco, sono due giovani promesse brillanti e pieni di risorse che si accontentano di un lavoro da parcheggiatori in un hotel di lusso. Questa esistenza spensierata condotta all’insegna della semplicità viene stravolta da una banda di assassini che aggredisce Sean a bordo di un autobus. Per evitare che la gang rubi il suo misterioso amuleto di giada ecco che l’insospettabile si vede costretto a sfoderare segrete e stupefacenti abilità nella lotta. Rivelando la sua vera identità all’amica: attraverso vari flashback conosciamo così Shang-Chi, figlio dell’immortale e spietato Wenwu (anche noto come il Mandarino, quello vero) capo dell’organizzazione criminale dei dieci anelli, che forse ricorderete da Iron Man 3. Così, insieme a una Katy incredula e sbalordita, l’eroe si mette in viaggio verso Macao per ricongiungersi con la sorella Xialing, anch’ella portatrice dello stesso ciondolo e da ritenersi in grave pericolo.
Dopo il passaggio in sala arriva su Disney+
Ennesima new entry, personaggio dei fumetti poco noto, Shang Chi (qui interpretato da Simu Liu) era in origine senza super poteri, tutto arti marziali, una sorta di Bruce Lee della Marvel insomma, ideato negli anni settanta e naturalmente intriso di stereotipi. In questa “fase 4” prende nuova vita dopo un attento processo di riscrittura che gli conferisce i superpoteri e lo accosta alla problematica figura – riabilitata – del Mandarino e della sua organizzazione terroristica dei dieci anelli. Il risultato è un sorprendete collage di spettacolari sequenze d’azione ritmate e ben coreografate, guerrieri dai poteri sovrumani, immaginifiche creature del folclore asiatico (uccelli infuocati, volpi a nove code, draghi senz’ali e chi più ne ha più ne metta), più l’immancabile comic relief. Con Shang-Chi come per Black Panther la Marvel sembra riuscire a schivare spinosi cliché e vecchi stereotipi suscitando soprattutto nel pubblico asioamericano orgoglio, entusiasmo e senso d’appartenenza. Dopo un breve ma fortunato passaggio nelle sala approda ora su Disney+ senza accesso VIP, con alle spalle un successo globale affatto scontato visti anche i corposi dialoghi in mandarino. Ancora assente dalle sale cinesi, dove forse non arriverà mai, non solo si presenta come un interessante esperimento interculturale ma costituisce il possibile volano per il prossimo reassemble degli Avengers, che possiamo intravedere nei post credits.