Uno spettacolo che dialoga con i tempi che corrono. Oggi è fortissimo il conflitto tra patriarcato, maschile e società. Quest’ultima chiede a gran voce un cambio di rotta, un nuovo modo di intendere i rapporti umani, ma il Potere – che imposta le regole, ma non dirige i nostri sentimenti – sembra invece non accettare la crisi, intesa come crescita ed evoluzione, del concetto di maschio.

Fuck Me(n) interroga il mondo del maschile “tossico”

Fuck Me(n) quindi interroga il mondo del maschile “tossico” e il regista Liv Ferracchiati esplora il mondo del maschile da un suo personale punto di vista: “Quando Emanuele Cerra (direttore artistico di Evoè!Teatro ndr), mi ha proposto questi tre monologhi, mi è subito sembrato evidente che c’era la possibilità di insinuarsi nella gabbia sesso-genere e nelle sue connessioni col Potere, declinato in diverse forme.
I tre testi hanno in comune il racconto di come, inconsapevolmente, può avvenire un certo apprendistato all’essere uomini, nel senso del ruolo di genere.

I protagonisti: un professore, un violento e un padre

I protagonisti appartengono a diverse tipologie di maschile tossico: un professore animale, vittima della sua bulimia di sesso e potere; un uomo devoto alla violenza, incapace di verbalizzare la sua frustrazione; infine, un padre, che dichiara, sempre più apertamente, la sua intolleranza e gelosia nei confronti del figlio.
Questi personaggi appaiono a prima lettura tre mostri, disperati, senza luci”.
È da questo punto di partenza oscuro che il regista ha lavorato su questi tre monologhi. I testi sono scritti da tre autori noti del teatro italiano: Roberto Traverso, Massimo Sgorbani e Giampaolo Spinato e Ferracchiati ha fatto un lavoro di adattamento, partendo da tre testi singoli e creandone uno solo a tre voci che palleggiano e che quasi si “rubano” la parola in scena: “Il mio adattamento drammaturgico ha creato un dialogo tra questi tre personaggi – continua il regista – e in qualche maniera si voleva realizzare uno spettacolo “altro” rispetto a quello originario e all’idea degli autori, ma che mantenesse un filo narrativo e lo amplificasse rendendo questi tre uomini un coro.”

Il lavoro artistico infatti punta ad approfondire il tema del maschile, vederne gli aspetti feroci e rivelare attraverso la scoperta della propria fragilità un nuovo modo di essere maschi: “Spogliarsi da certi orpelli del maschile e del femminile – conclude Ferracchiati – quegli orpelli che ci rendono mostri, perché ci stereotipano e ci limitano. Ogni parte di costume che viene tolta in scena è una convenzione sul maschile o sul femminile che si schianta a terra. Il lavoro di montaggio delle tre drammaturgie rende i tre monologhi un testo unico e crea una dimensione simbolica in cui i tre personaggi si confrontano e si confessano. Bisogna spogliarsi delle maschere, scavare fino ad arrivare a noi, almeno tendere alla ricerca dell’autentico”.

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