Precaria sorte è quella del pilota di MotoGP. Non c’è progresso o tecnologia che lo tenga al riapro dal rischio ultimo che egli assume su di sé una volta imbracciata la sua due ruote. Lì, a pochi centimetri dall’asfalto, si rinnova la sua scommessa di velocità e adrenalina, limite e prudenza, coraggio e paura.

Guidare in MotoGP spostando il rischio un po’ più in là

Il centauro è un animale diverso. Tutto in lui è relativo: il dolore, l’ostinazione a ritornare in sella, la stessa velocità, che a noi si rivela come tachicardia mentre per lui sembra tradursi invece in un fluire lento di cose e pensieri, calcoli esatti e intuizioni. “Ma come ha fatto?”, chiediamo noi. “C’era uno spazio”, risponde lui. Quale, chissà.

Marc Marquez è pilota che ha saputo individuarne di nuovi. Traiettorie che mai altri avevano osato inseguire e che lui invece ha saputo percorrere ridefinendo i confini del motociclismo. Di più: anno dopo anno, titolo dopo titolo, lo spagnolo quel confine non si è limitato solo a ridefinirlo, lo ha ulteriormente spostato vanificando gli sforzi altrui e monopolizzando una classe incapace di opporgli un vero rivale.

Il crack, il lungo stop, ora un nuovo infortunio

La curva fatale arriva un giorno di luglio di due anni fa, a Jerez, in Spagna. Marquez è sbalzato in aria dalla sua moto, cade comprimendo il braccio sul torace. La diagnosi parla di frattura dell’omero. I tempi di recupero invitano alla prudenza, l’articolazione è di quelle complicate affinché il processo di calcificazione si completi. Lo spagnolo però vuole bruciare i tempi, si presenta quattro giorni dopo al box, ma è costretto a desistere. Il braccio non tiene. Da lì in poi è un calvario: altre due operazioni, una placca in titanio da sostituire, un principio di infezione, una lunga riabilitazione, la lenta ripresa con le minimoto. Fino al ritorno in pista di questo 2021. Cauto sulle prime; poi sempre più confidente e impreziositosi da vittorie a conferma del suo completo recupero.

La sfortuna è ora tornata a funestare i suoi piani di rivincita. Vittima di un incidente a fine ottobre durante una sessione di allenamento a base di motocross, lo spagnolo ha battuto la testa procurandosi una paralisi del quarto nervo destro facciale con interessamento del muscolo obliquo posteriore destro. In una parola: diplopia, percezione doppia dell’immagine. Un infortunio che lo spagnolo aveva già vissuto nel 2011 dopo un incidente in una gara di Moto2 e che lo aveva costretto a un lungo stop. Difficile stabilire i tempi di recupero a oggi: dalla profondità del trauma e dalla regione in cui il nervo è stato danneggiato dipenderà l’esito di una prognosi che nel migliore dei casi vede il ripristino spontaneo della paralisi in tempi stimabili tra uno e otto mesi. Così non fosse non è da escludere l’intervento chirurgico.