Dove è nata l’idea di reinterpretare un brano storico, specialmente per Roma, come Lella?
“questa canzone compie 50 anni quest’anno. I due autori Edoardo de Angelis e Stelio Giccapalli la portarono in coppia al canta giro giovani dell’epoca. Per questo anniversario hanno pensato di coinvolgere artisti che sono cresciuti con il mito di questo brano, e cercare di avvicinarlo alle nuove generazioni.
E’ stato un progetto che mi ha onorato e inorgoglito tantissimo, ma la cosa che mi ha veramente reso felice, è stato ricevere i complimenti proprio da Edoardo, sia per l’arrangiamento, sia per la parte inedita che ho aggiunto al pezzo, che rappresenta una catarsi per il protagonista di questa storia, che anche se in toni abbastanza leggeri, racconta un dramma atroce.”
E’ tornata la voglia nelle nuove generazioni di artisti di voler raccontare storie?
“io penso che non sia mai mancata, ma hai ragione a dire che in questo periodo si è amplificata. Purtroppo la pandemia, gioco forza, ha dato la possibilità anche di concentrarsi e sperimentare di più da parte dei nuovi artisti che si stanno affacciando adesso alla scena musicale, non solo rap. Anche io sono riuscito a farlo, non senza difficoltà sia chiaro. Di sicuro ho cambiato punto di vista su tante cose, e questo inevitabilmente si trasferisce nella musica.”
La nuova uscita di Lella, coincide con la giornata mondiale Unesco per il patrimonio mondiale audiovisivo. Come hai scelto questa data?
“Perché legare una giornata così importante all’uscita di un pezzo così importante era il miglior modo di onorarlo secondo me. Tutti noi abbiamo almeno un ricordo legato a questa canzone, che nella nostra città è diventata popolare, intesa proprio come patrimonio del popolo. È la nostra memoria audiovisiva qui a Roma. In questo nuovo arrangiamento, insieme a Francesco Santalucia, abbiamo deciso che musica e parole portassero l’ascoltatore ad immergersi totalmente nell’atmosfera che è intrinseca nel brano.
Paradossalmente spesso viene canticchiata in maniera spensierata, ma se ci si sofferma bene sul testo, è una storia atroce. È un dramma vero e proprio. Ed è giusto anche sottolineare anche questo aspetto.”
Nel brano c’è una parte inedita. Come l’hai creata?
“mi sono immaginato questo uomo, che prima era un ragazzo all’epoca del fattaccio, che torna sul luogo dove ha seppellito il cadavere della povera Lella. Dopo 54 anni, perché la canzone esce dopo 50, ma il testo recita che sono 4 anni che si tiene il segreto, quest’uomo finalmente si libera di questo peso enorme. Capisce che né la magistratura, né un poliziotto possono giudicarlo, ma solo Dio. E lo provoca. Lo invita a farlo salire per pagare per quanto ha fatto in modo da sentirsi finalmente a posto con la coscienza. Questo secondo me, ed è stato anche apprezzato dagli autori, era l’unico modo per far finire la storia di Lella e del suo carnefice.”
Parlando dello stile che ti ha caratterizzato per tanti anni, oggi l’hip pop, il rap, che fine ha fatto?
“non si capisce mai se è la musica che fa il mercato o il contrario. Siamo passati dai singoli degli anni 60 agli anni 80 con gli album eterni del progressive. Oggi purtroppo comanda un algoritmo. Un genere come il rap purtroppo un po’ ha subito questi cambiamenti. È tutto molto più liquido oggi. Le commistioni tra i vari generi sono molto più frequenti e si creano progetti estremamente interessanti, ma che poi si fa fatica un po’ a portar avanti fino alla creazione di un album. La musica oggi viaggia a livelli estremamente veloci, e per stare al passo si sono ridotti i tempi per stare in studio. Bisognerebbe ritrovare un po’ il tempo per stare in studio e creare musica che sappia anche far pensare, non solo vendere.”
Il tuo lavoro precedente a questo nuovo inedito è stata la colonna sonora di Suburra. Che cosa hai appreso da quell’esperienza? Come si scrive una colonna sonora?
“io quando cresco artisticamente, lo faccio a “salti”. Ovvero, tra un’esperienza e l’altra nel mezzo studio, ascolto e mi specializzo. Faccio un piccolo bagaglio culturale e poi lo esterno tutto insieme. Questo modo di approcciare all’arte, ha fatto nascere il mio lavoro precedente (interno 7 NDR) al quale sono molto legato. E’ un album molto intimo, maturo, autobiografico. Suburra è figlio di quel periodo lì.
Nel farlo ho cercato di raccontare quel barlume di umanità che resiste in quella criminalità che sembra non aver scampo. Da questo progetto è nata la collaborazione con Francesco Santalucia, che tutt’oggi ci vede ancora legati. Co lui ho raggiunto un livello di intesa che non pensavo di riuscire ad arrivare ad apprendere. Scriviamo e musichiamo tutto quai all’unisono, e questo credo che sia il valore aggiunto che spero di non perdere mai.”
Oltre ad essere artista, sei anche produttore e consulente musicale con la “Grande Onda”. Quando nasce la tua etichetta e che cosa porta avanti?
“l’ho fondata nel 2005. Abbiamo all’attivo più di 1500 opere, e sono passati da noi moltissimi artisti della scena attuale. Per citarne alcuni, mi viene in mente Rancore, Corveleno, Brusco, recentemente anche Madame, Emis Killa, insomma tanta Roma ma non solo. E’ bello rimanere attivi anche sotto quel punto di vista perché ti aiuta a rimanere vivo e creativo. Sto cercando di contornarmi di musicisti giovani, perché dai giovani si può imparare tanto oltre ad insegnare tantissimo. I giovani cambiano il punto di vista che abbiamo sul mondo e sulle nostre certezze.”
Come vedi Piotta tra qualche anno? Hai mai pensato di cambiare genere e passare al cantautorato più classico?
“mi piace essere contaminato ma non voglio assolutamente snaturarmi. Io nasco dall’Hip-Hop, e rimarrò legato a questo genere per sempre. Le contaminazioni fanno parte della bellezza di questo mestiere, ma l’importante è essere sempre legato alle proprie radici, musicali e sociali. Cambiare genere vorrebbe dire rinunciare a tutto quello che rappresento, e tutto quello che rappresenta prima di tutto la musica per me. Non voglio dire però che mi precludo la sperimentazione, anzi. Sono curioso e appassionato. Mi piace provare sempre nuove sonorità e nuovi accostamenti. Sarò sempre lo stesso, con tante cose in più da raccontare.”