Ritroviamo Tom Hardy nei panni di Eddie Brock, giornalista depresso che ospita il simbionte Venom, parassita extraterrestre ormai (non proprio convintamente) convertitosi in antieroe. “Il letale protettore”, infatti, fatica ancora a rispettare le regole del vivere civile, come non mangiare gli umani, e per questo i motivi di attrito per la strana coppia sempre immatura e antisociale non mancano. La minaccia è però un’altra, Cletus Kasady (un magnifico Woody Harrelson dalla chioma rosso fuoco, ben poco sfruttato) il serial killer che terrorizza l’America, è rinchiuso nel braccio della morte e si rifiuta di avere altri interlocutori al di fuori di Brock, suo biografo in cambio di una promessa: alimentare la sua love story trasmettendo messaggi all’anima gemella Naomie Harris, donna dall’urlo letale conosciuta anni prima in riformatorio e mai più rivista. Ma ecco che quando il duo Venom Hardy fortuitamente riesce a carpire dal killer il luogo dove nasconde tutti i suoi cadaveri, le cose precipitano. Cletus, su tutte le furie, riesce a dotarsi anche lui di un brutale simbionte seminando il caos, o meglio la furia di Carnage.
Venom – La furia di Carnage incredibilmente riesce a replicare il successo del precedente capitolo del 2018 che incassò quasi un miliardo, conquistando subito un posto nella top 10 dei film di maggiore incasso di quest’anno. Eppure, proprio come il primo Venom, non è esente da critiche. Andy Serkis, maestro della performance capture che eredita la regia su proposta dello stesso Hardy, protagonista, produttore e cosceneggiatore della saga, questa volta rende tutto più semplice, concentrato, intimo se vogliamo, a giudicare dalla durata di soli 97 minuti (un nonnulla in confronto ai 140 del predecessore). Sulla scena si alterna una piccola rosa di personaggi: Eddie Brock, l’ex fidanzata di Eddie Brock, il killer, la fidanzata del killer, il capo della polizia, la proprietaria asiatica del mini market sotto casa di Brock, i simbionti. La narrazione si accartoccia sotto il peso di un all in su azione, ironia e CGI. Il tono è pressappoco lo stesso di sempre, siparietti di dubbio gusto, umorismo e battute al limite del grottesco sul rapporto di amore odio che lega i due protagonisti, ma anche scontri e violenza, un po’ cartonata, tardiva, limitata forse da un budget che non eguaglia quello degli altri Marvels o della concorrenza DC – anche se va detto che visivamente i mostri sono ineccepibili. Ma la differenza qui la fa il villain che si prende lo schermo, nel bene e nel male. Harrelson desta curiosità, fa ben sperare, Carnage è affascinante, plastico, permetterebbe di osare. Quel che manca davvero è una cifra horror-splatter e maggior approfondimento, entrambi accantonati in nome della leggerezza e dell’ostinata volontà del franchiste di non prendersi sul serio. La trasformazione di Kasady e la cattedrale, teatro dello scontro finale, sono gli unici sforzi in questo senso, ma il risultato poteva essere ben più oscuro, avvincente e disturbante.
Nota interessante: nel finale si ammicca a un crossover con lo spiderman di Tom Holland.