Stefano Monticelli, regista e autore del Gambero Rosso Channel, a Rossi di Sera su Radio Cusano Campus, ci racconta la nascita del primo canale tematico interamente dedicato al food and beverage.
Com’è stato portare il cibo in tv?
“se guardiamo nei palinsesti storici del servizio pubblico, c’era già del materiale. Esistevano grandi narrazioni intorno al cibo, ma meno storie legate ad esso e a tutto quello che lo rappresenta.
C’è stato però un passaggio culturale. Una volta si diceva “se non vuoi studiare vai a fare il cuoco”. Oggi sappiamo che per essere un grande chef, bisogna affrontare tantissimi sacrifici e bisogna essere preparati a 360 ° su tutto quello che compone il mondo del food and beverage.”
Quand’è che è stato sdoganato lo chef all’interno della tv generalista?
Questa fu un’intuizione di alcuni dirigenti alla fine degli anni 90. All’epoca c’erano dei canali monotematici che venivano trasmessi dalla piattaforma TELE+. Fra questi c’era Gambero Rosso Chanel, il primo canale monotematico, con un palinsesto interamente dedicato al cibo ed al vino. È stata la naturale prosecuzione editoriale di un mondo che contiene le ormai famose guide, i libri e tutto il mondo legato al marchio Gambero Rosso.
Da dove viene il nome?
Il Gambero Rosso era la trattoria dove Pinocchio viene adescato dal Gatto e la volpe. L’intento della guida all’inizio era proprio questo. Non solo raccontare il cibo, ma anche cercare di mettere in guarda dalle possibili “truffe” che si possono incontrare nei locali in giro per l’Italia.
Nacque da un’idea del compianto Stefano Bonilli. Era l’unica guida italiana che si occupasse di recensire i ristoranti. Era un progetto molto all’avanguardia, e tutt’oggi stiamo portando avanti il suo credo.
Fu una vera scommessa per l’epoca.
Fu una bella intuizione, e lo dimostra il fatto che siamo ancora qui a raccontarlo. Dobbiamo precisare però che un canale monotematico ha una mole di lavoro enorme. Ecco perchè rispetto alle tv generaliste, che oggi usano il cibo come catalizzatore di ascolti, ha il compito di affrontare l’argomento da più punti di vista, ma soprattutto deve divulgare la cultura legata al cibo. E’ sicuramente un compito ben diverso dall’intrattenimento.
E’ cambiato il pubblico che si affeziona ad un canale tematico interamente dedicato al cibo?
Si. E’ cambiato anche con l’avvento dei nuovi media (social web). Abbiamo capito che il cibo crea interesse e interazione sempre e comunque. Il Gambero Rosso nasce per le persone che cucinano e che vogliono sentirsi parte di una comunità.
La spinta di voler intrattenere per forza il pubblico non fa parte della nostra filosofia. Il pubblico vuole imparare. Chi si avvicina al nostro gruppo editoriale è in cerca di curiosità e di approfondire una passione che porta avanti già da sé.
Qual è lo scambio che si crea tra te, che sei il regista e l’autore delle storie che vanno in onda, e lo chef che deve condividere la propria arte?
Per esperienza personale ti dico che chi fa questo mestiere per vivere, si riconosce. Le web star o gli chef televisivi fini a sé stessi non hanno vita lunga. Chi fa un determinato percorso, che è pieno di difficoltà, e che si può veramente paragonare al regime militare sotto tanti punti di vista, hanno un bagaglio di conoscenza enorme. Quindi paradossalmente non sono loro sotto osservazione, ma sono io in realtà. Sono io che devo guadagnarmi la loro fiducia e mettermi al loro livello. In molti primi incontri ho avuto dalla mia parte il vantaggio di avere una passione smisurata di tutto quello che gira intorno al cibo e alla cucina. Chi interloquiva con me si è reso conto che parlavamo la stessa lingua. Stabilito questo contatto è diventato tutto più semplice e naturale.
Cosa vuol dire gestire un ristorante secondo te?
Essere uno chef professionista e gestire un ristorante è estremamente complesso. Faccio mie le parole di Moreno Cedroni : “Siamo artigiani ad alto rischio”.
In questa definizione c’è veramente tutto. Chi decide di intraprendere la strada dell’imprenditoria nel campo della ristorazione, per me, rimane un coraggioso e un visionario. Ci sono talmente tante variabili legate al mondo del cibo, che riuscire a gestirle tutte ha del miracoloso. Ci sono tantissime persone che si buttano nel mondo della ristorazione pensando che sia un investimento sostenibile che porta guadagni facili. Nulla di più sbagliato. Le statistiche ci raccontano (ovviamente faccio riferimento a prima della pandemia) che sono pochi, rispetto alle aperture che si registrano ogni anno, gli imprenditori che riescono ad avere una vita media della loro attività per più di cinque anni. Questo dato ci fa capire quanto studio e quanta dedizione ci vogliono per portare avanti un ristorante, sotto tutti i punti di vista.
Il pubblico, secondo te, sta imparando a distinguere la qualità a tavola e la scelta delle materie prime?
Nel mondo del cibo, tutti hanno ragione, ma non è necessario fidarsi di tutti. La discriminante sta nel saper educare il palato di tutti. Ma non solo con gli adulti, soprattutto con i bambini. Stabilire il buono o non buono a livello di gusto fa parte delle scelte private, che rimangono insindacabili. Saper giudicare se un prodotto è di qualità o no grazie alla scelta delle materie prime, rientra nella sfera della divulgazione e dell’educazione. La chiave di tutto è mix tra curiosità, rispetto e conoscenza. Ci sono cose che non possiamo controllare, e se ci lasciamo ossessionare da questo passeremo una vita d’inferno. Applicando questo concetto di base alla cucina, possiamo concludere che forse dovremmo fidarci di più di quello che ci viene proposto da chi ne sa più di noi, e man mano acquisiremo le conoscenze e le capacità per salire di livello e apprezzare sempre più prodotti.
Tu sei stato l’artefice di tanti programmi culinari diventati di culto. Qual è la chiave per rimanere impressi nel pubblico?
E’ creare il beniamino. Creare l’ambientazione giusta per far si che quel personaggio crei un legame emotivo nel telespettatore. All’interno di questo scenario poi bisogna saper raccontare delle storie. Le storie devono saper far immedesimare chi le ascolta e le guarda. Il cibo diventa il legante di tutto questo, e ogni volta che proveremo a riprodurre quella ricetta o quel piatto, oltre al piacere di cucinare, rivivremo le sensazioni che abbiamo provato quando lo abbiamo visto in tv. L’affezione è alla base di tutto.