Celebriamo la vita, l’opera e lo sguardo sull’Italia di Pier Paolo Pasolini
Il corpo di Pier Paolo Pasolini veniva ritrovato all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre del 1975, esattamente 46 anni fa. Un omicidio, una morte violenta che ancora oggi non ha una verità accertata, e che metteva fine alla vita del più importante intellettuale italiano del secolo scorso.
Pasolini poeta e scrittore
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna nel 1922. Durante l’infanzia, a causa del lavoro di suo padre, cambia spesso città. Alla passione per il disegno, si accompagna quasi subito quella per la scrittura, declinata in poesia e in prosa. L’adolescenza porta con sé i tumulti della Seconda Guerra Mondiale, e i primi turbamenti d’amore. Pasolini si innamora, infatti, di un giovane studente al quale dava lezioni private. Finita la guerra, partecipa attivamente della vita culturale. È con la pubblicazione de “Le cenere di Gramsci” che lo scrittore raggiunge una certa fama che gli permetterà di pubblicare altri romanzi e saggi, facendolo diventare una figura chiave nella letteratura italiana del dopoguerra.
Nel 1949 arriva una svolta drammatica ma significativa nella sua vita: Pasolini viene infatti denunciato per corruzione di minori.
Resa pubblica la sua omosessualità, perde il lavoro e viene espulso dal Partito Comunista Italiano. Decide allora di trasferirsi a Roma, dove tra solitudine e miseria, trova la Settimo Arte. L’incontro con il cinema segna per Pasolini una svolta poetica ed esistenziale, e segna l’inizio della storia di uno dei registi più importanti del XX secolo.
Il cinema di Pier Paolo Pasolini
A 39 anni, Pasolini fa il suo debutto come regista con Accattone (1961), una tragicommedia neorealista, che gli permette di dire la sua sul mondo delle periferie romane. Uno sguardo sugli ‘ultimi’ che si conferma con il film successivo, Mamma Roma (1962), con Anna Magnani. Un successo certificato dalla candidatura al Leone d’oro del Festival di Venezia.
Anche se dichiaratamente ateo, il regista, per la sua terza opera, decide di realizzare Il vangelo secondo Matteo (1964). Un racconto che l’Osservatore Romano, organo ufficiale della Santa Sede, arriverà a definire “la migliore opera su Gesù nella storia del cinema”.
Volendo fare qualcosa di più personale, per la sua pellicola successiva porta sullo schermo Uccellacci e uccellini (1966) verso il quale, però, maturerà negli anni un leggero distacco.
“Quando ho visto per la prima volta il film finito – dirà Pasolini in un’intervista – mi sono reso conto che la carica ideologica era eccessiva, e rimpiango di non aver fatto qualcosa di più leggero dove la favola poteva avere un’importanza maggiore”.
Due anni dopo, mentre nelle strade infuria il Sessantotto, Pasolini firma uno dei suoi capolavori: Teorema (1968), spaccato spirituale sulla borghesia italiana e le sue colpe da espiare, liberamente ispirato da un fatto di cronaca e dalla morale francescana.
Prima di morire, Pasolini porta a conclusione quello che forse è il suo film più duro da vedere: Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Vietato in diversi paesi, è una parabola spietata sul Potere in tutte le sue vesti, ambientata nel periodo della Repubblica di Salò, ma espressione diretta della società italiana del suo tempo, quegli anni ’70 che, nella prospettiva di Pasolini, erano una diretta emanazione degli orrori del fascismo.
Eredità e memoria di Pasolini
Pasolini non vedrà mai finita la sua ultima opera, che uscirà postuma.
“Adoro la vera rivoluzione, quella pura e diretta della gente oppressa, dove l’unico scopo è essere libero e padrone di se stesso”. Per tutta la sua vita, Pasolini ha mostrato passione per la cultura popolare e la provocazione. Rifiutava la società borghese dei consumi, e si posizionò sempre dalla parte dei più svantaggiati.
“È un’ingiustizia che una figura come quella di Pasolini sia stata dimenticata e cancellata dalla memoria d’Italia” dirà in un’intervista il cineasta Federico Bruno. “È stato testimone di un’epoca e ha dedicato il suo lavoro a denunciare la povertà, la corruzione e le miserie delle persone. Col suo cinema – conclude Bruno – aveva spaccato gli schemi estetici dell’epoca, più o meno come fece Buñuel con Los Olvidados”.