Fiumi d’inchiostro su Saúl Ñíguez, meno su “Better Call Saul”. A breve arriverà la sesta stagione della serie di Vince Gillighan, tra tanto apprezzamento nella cerchia di spettatori. Un bel finale, apprezzato dalla critica, del quale non parlerò per evitare il linciaggio degli appassionati indietro con la visione della serie. “Better Call Saul” è una serie vincente perché ruvida, realistica e geniale. Sprazzi di regia cristallina, qualche momento di buio ma poi un parapendio la salva. Colpi di scena, antagonisti da favola e protagonisti che galleggiano nel male che li circonda, finendo con diventare anche loro il male. “In The Game”, direbbe Jonathan Banks.
Saul Niguez, la stella di Elche
Ci sono molte analogie tra Saul Goodman e Saúl Ñíguez. Cambia solo una cosa, l’accento. Il lawyer di Albuquerque è un uomo pratico, a tal punto che per arrivare al suo obiettivo usa qualunque mezzo, anche illecito. Oltrepassare la legge per vincere grazie alla legge. Diabolicamente geniale. Saúl, uguale. In un modo o nell’altro è illegale anche lui. La stella di Elche brilla del firmamento dell’Atletico Madrid da qualche anno. Il suo ritratto, ben delineato dall’Ultimo Uomo, lo rende un talento affermato, ma poco pubblicizzato. Sì, la tripletta contro Donnarumma. Sì, il gol ad Alisson nell’ultima, infinita, Champions League. Per non parlare di quello a Neuer qualche anno fa. Ma non contano solo i gol.
Saúl Ñíguez, rojiblanco endovena, usa ogni numero per vincere. Sembra non avere confini. La sua casa, il Wanda Metropolitano, funge come rafforzante. Ricorda i capelli di Sansone, ma a un livello più grande. Lì si parlava di qualche riccio, qui ci sono (e ci saranno) quasi centomila persone. Ñíguez, come Goodman, avrà una carriera illegale. Fuori dagli schemi, sempre pronto a fare qualcosa di imprevedibile. Piacerà per questo. Alcuni lo riterranno illegale. Pazienza, tanto a bocca aperta ci rimangono tutti.