L’Atletico Madrid vince, ancora, e mantiene la porta inviolata, ancora. Felix, Carrasco, Griezmann. Tutti i riflettori su di loro, ma non sul vero protagonista di questo inizio stagione. Il portiere, quell’uomo solitario, ancora una volta viene accantonato. Il portiere è il ruolo più delicato del calcio e ne è cosciente uno di questi, uno che con perseveranza, carisma e lucidità si è imposto in questi anni, diventando un caposaldo nello scacchiere di Diego Pablo Simeone, allenatore dell’Atletico Madrid: Jan Oblak.
Eppure, qualcosa manca all’appello, qualcosa di cruciale per gli equilibri di una squadra di calcio, qualcuno in grado di comandare i compagni, trasmettergli certezze, solidità mentale e permettergli di giocare al massimo. Non è il capitano, o meglio, può esserlo e ce ne sono stati tanti con quella fascetta importante al braccio, bensì è la figura meno banale di questo meraviglioso sport, la forma più disordinaria: il portiere. Amata e odiata perché grazie a lui, oppure a causa sua, magari Van Basten non avrebbe fatto quel gol clamoroso e chissà come sarebbe cambiata la sua storia e quella del calcio in generale.
Il portiere ha personalità, non si fa intimidire dagli avversari, ha i nervi saldi nei momenti più difficili, sopperisce agli errori difensivi dei compagni. Le sue sviste sono le più vistose perché hanno un rischio massimo, cioè prendere gol e diventare spesso il problema della squadra, i capri espiatori alla pari degli allenatori.
La carriera di Oblak
Nasce a Loka, Slovenia, il 7 gennaio del 1993. Cresce in una famiglia che ha una priorità: lo sport. Mamma ex giocatrice di pallamano, papà ex calciatore, sorella giocatrice affermata di basket nella ZVVZ USK Praga. La sua vita sportiva prende la via della famiglia, perché quando entra nelle giovanili dell’Olimpia Lubiana a dieci anni, mostra quanto possa piacergli respingere un tiro avversario, virtù che la famiglia ha nel sangue, viste le carriere di madre e sorella maggiore impegnate in sport dove le mani sono fondamentali. E poi gli piacciono le responsabilità, aiutare i propri compagni a non cadere, non perdere mai.
Il suo ruolo pertanto è scontato e la mentalità con cui approccia all’incarico di estremo difensore, oltre alle sue doti evidenti, lo portano a firmare il suo primo contratto da professionista nel 2009. E pensare che un anno prima, Oblak partecipa ad un provino per l’Empoli, ma viene scartato perché ritenuto “piccolo” fisicamente. Il destino decide, pertanto a sedici anni è il più giovane calciatore nella storia del campionato sloveno. Titolare in prima squadra fin da subito, i talent scout europei adocchiano le sue skills, soprattutto quando lo diventa in Under 21. Giunge presto il momento di metterlo su un aereo e portarselo via.
L’arrivo in Portogallo
Dalla Slovenia al Portogallo, ecco giungere il Benfica, che di talenti ne sa qualcosa, dal passato targato Eusebio e Manuel Rui Costa, al presente con i difensori Joao Cancelo o David Luiz, passando al centrocampo con Alex Witsel, fino agli offensivi Angel Di Maria e Joao Felix. Il Benfica gli dà l’opportunità di crescere con calma, mandandolo in prestito per un paio d’anni. Oblak indossa le casacche del Beira-Mar, União Leiria e Rio Ave, poi nel 2013 torna al Benfica e da secondo nel suo ruolo, diventa anche qui e velocemente il numero uno, mettendo in mostra le sue abilità da “salva risultato” e cominciando a porre sui guanti i primi clean sheet, ovvero terminare la partita senza subire gol.
Aiuta così la squadra a vincere il campionato dopo quattro anni, oltre alla Taça de Portugal e Taça da Liga. È il triplete nazionale, prima volta nella storia del calcio portoghese. Impossibile non notarlo, ciò permette alla sua carriera di avere una veloce evoluzione, tanto da essere acquistato da quella che dopo Loka, città natia, diventerà la sua seconda casa: Madrid, sponda Atletico.
L’esplosione a Madrid
Pagato 16 milioni, un record in Spagna per un portiere, il primo anno si divide la porta con Miguel Ángel Moyà, anch’esso acquistato nel calciomercato estivo, pur facendo meno presenze di lui. Già, perché c’è da prendere il testimone di un certo Thibaut Courtois che a sua volta aveva raccolto l’eredità anni prima di David de Gea. La pressione è tanta quando a Madrid si cita il ruolo del portiere, ma Oblak non ha paura. Vive una sana competizione col suo collega, in silenzio, allenandosi, creandosi un’identità certa nello spogliatoio.
“Moya una garanzia? Sì, ma il fenomeno è quello seduto in panchina”. Il Direttore sportivo Andrea Berta è abbastanza esplicito sulla questione. Le sue doti nel corso della stagione spiccano inesorabili e Simeone non ha dubbi su chi puntare in futuro. Lo sloveno inizia così la sua storia d’amore con i “colchoneros”, diventandone uno dei leader. La stagione successiva è quella della consacrazione. È un Atletico forte e Oblak, nella vittoria per 3-0 contro il Betis, mantiene la porta inviolata ancora una volta. Il “Cholo” può stare tranquillo. Un lucchetto tra i pali non è cosa da poco.