Diego Abatantuono lavora come guardia medica. Anche se non si direbbe ha alle spalle un nobile passato in Africa, archiviato da una delicata situazione familiare che lo ha riportato in Italia. Ormai, infatti, vecchio e stanco, ha da tempo smarrito ogni tipo di empatia verso i pazienti. I lunghi turni notturni lo rendono sempre più scorbutico, malandato e iracondo. Tra una mangiata all’osteria e un whisky in boccetta per buttare giù le pillole contro la sciatica, mentre è in servizio si imbatte in Frank Matano, giovane solare ma poco ambizioso che per sbarcare il lunario fa il rider consegnando cibo a domicilio. L’incontro/scontro cambierà le vite di entrambi, sia nella sfera professionale che in quella privata. La bici di Matano finisce distrutta nell’impatto con l’auto del dottore, la cui schiena si blocca definitivamente. Dopo l’incidente per salvare il salvabile e non essere licenziati i due si accordano per unire le forze: il giovane fattorino si finge dottore, diretto telefonicamente durante le visite, mentre la macchina viene usata anche per il delivery. Superato lo shock iniziale la strana coppia ci prende gusto, lanciata verso le tante disavventure che la notte romana ha in serbo, tra pazienti ipocondriaci, donne partorienti, clienti arroganti – stereotipati ma funzionali a un registro tragicomico – vendette e malintesi.

Presentato in anteprima come evento speciale ad Alice nelle città, la sezione autonoma della Festa del Cinema di Roma, Una notte da dottore di Guido Chiesa (Ti presento Sofia) propone una nuova accoppiata comica tutt’altro che scontata – al solito Abatantuono sempre tagliente, Matano sempre assordante –  basandosi sul solido concept della commedia francese “Chiamate un dottore!”, rivisitata all’italiana. Concept che è più un incipit dato che la versione nostrana si spinge un po’ oltre esplorando il lato drammatico della vicenda, a cui l’originale solo ammiccava. Tra il dottore e il fattorino, infatti, c’è di mezzo una professione su strada fatta di notti in bianco, solitudine, disincanto e precariato. A cui si aggiungono travagliati rapporti familiari da ambe le parti, ma i due protagonisti molto umani insieme riusciranno addirittura a migliorarsi ritrovano l’uno un padre, l’altro un figlio.

A prima vista opposti per età, fisico e stile, vantano infatti una certa alchimia, un feeling genuino che traspare dai ricorrenti duetti comici: la verve di Abatantuono e l’ironia clownesca di Matano ben si compensano, limitandosi a vicenda.

Parlando di tempi e ambientazioni non è Natale come a Parigi, ma a Roma è sempre notte, la città è deserta (perché in lockdown) e non manca anche una certa malinconia nell’aria. Fuori dall’abitacolo dell’auto ammaccata, si alternano case popolari, loft e bei palazzi. Poi l’annosa questione, il racconto dev’essere post o pre pandemia? La scelta è ricaduta sulla seconda opzione, che consente anche una maggior libertà in termini di raffigurazione. Infatti, rider e soprattutto medici sono diventate figure chiave di questi tempi, da prendere con le pinze. Ma una volta svincolati dal tema covid si può anche tornare a pensare al medico imperfetto, a suo modo umano e perché no in alcuni casi anche poco attento. Senza smontare “l’eroe in corsia”.