A forza di torturarli i numeri finiranno sempre col confessare ciò che volevamo sentire. Alcuni però sono talmente onesti e limpidi che risulta inutile indagare oltre, più utile invece è cercare di individuarne le ragioni. Dopo dieci giornate di campionato, in serie A sono stati concessi ben 48 calci di rigore. Nessuno in Europa come noi. Troppo falloso il nostro calcio, o troppo fiscale chi chiamato a dirigerlo?

Dall’uomo alla macchina, andata e ritorno

L’avvento del Var fu annunciato come la panacea di tutti i mali, la risposta unica e vera ai tanti dubbi che da anni costellavano il nostro campionato incrinandone la credibilità. Dopo quattro anni di utilizzo il quadro è rimasto sostanzialmente invariato: le decisioni in merito agli episodi controversi sembrano essere prese all’insegna di un testa o croce che confonde ancor di più le idee di tifosi e addetti ai lavori, polemiche e discussioni continuano ad animare il lunedì del bar sport e i dubbi, anziché scomparire, si sono solo spostati verso un altro bersaglio. Ora, si potrebbe fare appello alla cultura sportiva (e alla sua assenza) e chiudere qui la riflessione. Troppo facile: l’idealismo inquadra, ma è il pragmatismo che risolve.

Di un fronte a un protocollo più aggrovigliato di un origami aperto per di più a molteplici interpretazioni, trasparenza e chiarezza appaiono indispensabili se si vuol sgombrare il campo da dietrologie e complotti. L’oggettività interpretativa lasciamola da parte. Non esistono due falli uguali così come non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua. Ognuno vede, sente e dirige secondo il proprio metro. Ed è su questo punto che dovrebbe concentrarsi la riflessione più profonda.

I nostri arbitri vedono, sentono e dirigono in modo troppo diverso rispetto ai loro colleghi europei. Gravati da una cultura del sospetto che ne intaccava la credibilità, i direttori di gara italiani, quando chiamati a dirigere in contesti internazionali, si sono sempre attestati tra i migliori ottenendo consensi e gratificazioni. Rientrati tra i confini, è come se in loro prevalesse un’altra modalità, figlia di una ipersensibilità che oggi non ammette dubbi e che alla delegittimazione preferisce il fischio a ogni contatto, spegnendo così ogni polemica ma snaturando un gioco che altrove continuano a declinare e dirigere in modo diverso.

E questo è tanto più vero se il misfatto avviene in area di rigore. Rigorini, spintarelle, lieve trattenuta, leggero contatto: anche la lingua fatica a star dietro a questa nuova chiave di lettura. Le cose esistono quando si dà loro un nome. Affibiarne molti confonde anziché aiutare. Primo decidere, deinde filosofare. Diciamocelo adesso. Quando vedremo gli altri alzare dei trofei mentre qui da noi saremo intenti a discettare su dinamiche di cadute e centimetri di stoffa allungati sarà troppo tardi. Oltreché molto ridicolo.