Andrea Fassi, erede dell’impero Fassi e proprietario del “Palazzo del Freddo” a Roma, è stato ospite a Radio Cusano Campus a Rossi di Sera, e ci svela il suo amore-odio per il gelato.

Come sei riuscito a creare un luogo dove la gastronomia viene abbracciata a 360°?

“Era l’unico modo che avevo per salvarmi dall’eredità – ride- e ha funzionato. Quest’anno sono 141 anni
di attività sempre nello stesso luogo. Ho pensato di riempire questo posto magico di cose che mi
piacciono. Di fatto io ho ereditato l’arte gelatiera, ma non è la mia passione.”

Prima che arrivasse il destino che poi ti ha portato alla guida dell’azienda di famiglia, cosa volevi fare da
grande?

“Mi piaceva e piace scrivere. Volevo percorrere una strada differente. Nel frattempo mi sono laureato in
scienze politiche e ho voluto esportare il marchio Fassi all’estero. Abbiamo fatto una scelta ben precisa,
ovvero non aprire altre sedi in Italia, e lasciare solo la sede storica a Roma nel quartiere esquilino. Allo
stesso tempo però ci siamo espansi in tutto il mondo, specialmente nell’estremo oriente, dove non
abbiamo portato il prodotto finito, il gelato, ma abbiamo esportato un metodo per lavorare secondo la
tradizione, ma utilizzando le materie prime che si trovano nei diversi territori.
La mia grande passione però rimane la scrittura. E continuo a farlo”.

Girò la leggenda che Fassi era stata comprata dai cinesi. È una fake news?

“assolutamente si. Noi siamo andati in Cina ed in Korea per aprire altri punti vendita. Ma in realtà questa
cosa la iniziò mio padre, tanto tempo fa. Poi sono arrivato io e ho continuato a mantenere i rapporti e a
studiare le materie prime che si trovano in quelle terre lontane, per creare dei gusti di gelato che siano
più vicini alla loro cultura. Ad oggi, collaboriamo con un’azienda coreana, che ci aiuta nella ricerca e
nello sviluppo, e soprattutto ci aiuta a seguire le nostre sedi dislocate. Ma non siamo diventati cinesi –
ride-.”

Questo destino ti è sempre stato stretto, come hai fatto ad andare avanti e creare tante alternative,
senza mai perdere però il contatto con quello che è il core-business della tua azienda?

“l’alternativa è sempre stata la fuga. Ho viaggiato tantissimo e ho studiato sempre nuovi modi per tenere
in piedi le mie passioni e non farmi coinvolgere troppo in una cosa che da un lato mi regala tantissime
soddisfazioni e mi inorgoglisce, ma dall’altra un po’ mi tiene ancorato ad una vita che non sento troppo
mia. Pensa che qualche tempo fa ho rischiato di diventare calciatore professionista in Australia”

Questa del calciatore la devi raccontare però

“In uno dei miei tanti viaggi sono finito per fare il cameriere in Australia. Sai, qui in Italia, specialmente a
Roma, dove ringraziando il cielo la nostra realtà è estremamente radicata nel territorio, è difficile
scrollarsi un pochettino di dosso questa, consentimi il termine, fama. Per inciso, io sono estremamente
fortunato e felice di quello che rappresento, ma essendo una persona che vive di stimoli, ho affrontato
queste nuove sfide andando all’estero e cercando di cavarmela sempre da solo. In questo viaggio in
Australia è capitato di venire a contatto con una realtà sportiva locale molto conosciuta ad Adelaide,
dove mi trovavo, e ho cominciato a giocare a calcio in questa società nella (per fare un parallelismo)
serie B australiana. E mi sono divertito tantissimo. Poi la vita mi ha portato da altre parti, ma va
benissimo così.”

Quindi però, di fatto, stai ancora cercando di fare lo scrittore?

“certo. Lo faccio continuamente. Il laboratorio di scrittura creativa è nato anche per questo. Ma
soprattutto è nato per sviluppare le capacità di chi vuole avvicinarsi alla scrittura ma pensa di non
esserne in grado. Non credo, che per scrivere serva solo il talento.
l’esercizio della scrittura va allenato. Io per esempio lo faccio portando avanti una serie di racconti che si
chiama Papille, che faccio uscire periodicamente sui social. Questo mi aiuta a capire sempre di più come
affinare la mia scrittura e mi tiene in allenamento.

Che cos’è Papille? Puoi raccontarcelo?

“Papille è la storia di un critico gastronomico, che perde l’uso delle papille gustative. Ovviamente non
può dirlo a nessuno. Per continuare a fare quello per cui è pagato, deve cercare di descrivere i piatti che
gli vengono sottoposti attraverso altri tipi di sensazioni. Ecco. Questo è Papille.
Questo mi serve anche per mettere alla prova settimanalmente il mio modo di scrivere, e funziona.”

Non abbiamo tempo per fermarci e leggere un racconto intero? Per questo pubblichi racconti?

“si certo, ma non solo.  Nasce da un desiderio di cercare anche una lettura del cibo diversa. Purtroppo è diventata una
moda l’alimentazione ed il cibo. Avrei voluto che questo esercizio cambiasse anche l’angolazione dalla
quale percepiamo il mondo della gastronomia. L’idea è quella di togliere l’attenzione sull’uomo e ridarla
al cibo. Sono letture veloci volutamente brevi, per creare curiosità e per far scoprire piano piano sempre
più lati di questo mondo, che un po’ vive di luce proprie e di protagonisti che in realtà, mettono in
secondo piano il punto centrale: il cibo. il problema è che ognuno di noi ha una parte egocentrica, che
poi si mangia tutto. E anche se tu non vuoi, ti metti al centro della scena. Io vorrei che un giorno quello
che ho creato e sto portando avanti, vada avanti senza di me, oppure nonostante me. Se riuscirò a
sparire completamente, e a far rimanere i miei prodotti, significherà che ho raggiunto il mio obbiettivo”.