Un nemico invisibile ha letteralmente stravolto la nostra vita, scrivendo una pagina controversa della nostra modernità che non si potrà dimenticare facilmente. Da oltre un anno il Coronavirus ha cambiato ogni prospettiva, facendoci vivere in un costante susseguirsi di paure. Abbiamo tuttavia rimandato il momento in cui ritrovarci faccia a faccia, pelle contro pelle, questo anche perché la distanza di sicurezza e il disinfettante per le mani non ci sono stati d’aiuto.
Amore e Coronavirus
A ogni modo, è accaduto anche qualcosa di curioso: l’amore ai tempi della pandemia ci ha riportato, in un certo senso, ad alcune modalità relazionali dei secoli passati. Quelle in cui le lettere tra innamorati lasciavano spazio all’intimità e al corteggiamento, così da conoscersi. Il primo incontro reale poteva richiedere mesi, ma grazie alla lunga corrispondenza, l’attrazione e l’affetto erano già ben consolidati. Se gli amanti del XIX secolo dovevano attendere con impazienza l’arrivo di una lettera, oggi abbiamo un po’ più di fortuna. I tempi si sono accorciati, tanto che basta attendere una notifica sul cellulare.
Durante la pandemia le app d’incontri hanno registrato un aumento del loro utilizzo. In alcuni casi, l’attività del singolo utente è persino raddoppiata. Per noia forse? La risposta è no. In realtà, si tratta di un fenomeno molto più profondo e importante dal punto di vista psicologico. La solitudine e più tempo a disposizione per pensare alla nostra vita ci hanno portati ad utilizzare più che mai le app per incontri, magari alla ricerca della cosiddetta “anima gemella” e per affrontare la quotidianità da altri punti di vista e con rinnovata speranza. Durante le settimane di isolamento domiciliare, in molti hanno sentito il bisogno di trovare qualcuno con cui parlare o con cui iniziare una relazione.
Qual è la realtà?
La realtà è più veloce delle ipotesi degli esperti e se esiste qualcosa d’inarrestabile è proprio il nostro bisogno di avere relazioni, di cercare l’amore. Indipendentemente dal contesto o dalla situazione, l’essere umano è capace di escogitare qualsiasi stratagemma per superare gli ostacoli che gli si presentano lungo il cammino. In epoca Coronavirus abbiamo riscoperto la nostra vulnerabilità: più ci scopriamo lasciati a noi stessi, incerti, liquidi, parte di una società sconosciuta e senza una logica, più un’abitudine – qualunque essa sia – diventa per noi preziosa.
Aver bisogno d’amore non è una fragilità; se vogliamo parlare di fragilità, siamo fragili per definizione, in quanto viventi. Abbiamo necessità costanti a cui in molti casi nemmeno sappiamo dare un nome, coltiviamo l’ininterrotta illusione di avere un posto nel mondo, di essere capaci di gestire il nostro presente e indirizzare il futuro. La fragilità sta piuttosto nel credere di non aver bisogno d’amore (inteso nella sua accezione più ampia).
L’analisi di Bauman
Tutti ci siamo un po’ esiliati e una delle più grandi paure dell’uomo contemporaneo è proprio l’ ”esilio psicologico”, quel tipo di sensazione che porta a un pensiero fisso: «Mi sento straniero, mi sento alieno a casa mia». Siamo un po’ tutti, in quest’epoca, dei migranti psicologici. Tuttavia, come scriveva il sociologo Zygmunt Bauman, «non tutto il male oscuro e scoraggiante della solitudine e dell’alienazione viene per nuocere». L’esilio psicologico è una nuova prova di libertà. Per Bauman la perdita dell’inclusione dello spazio e l’impossibilità di sentirsi a casa in quello stesso spazio consentono all’esiliato psicologico di vivere nel profondo la condizione attuale di questo mondo. Molti, d’altra parte, nuotano sulla superficie del loro inconsapevole esilio e vengono inghiottiti dalla depressione senza comprendere a fondo il motivo del loro malessere.
A fine quarantena abbiamo sicuramente imparato che al vuoto si sopravvive. Non importa se a mettertelo intorno è stato il Coronavirus o colui a cui, ogni giorno, hai rivolto i tuoi pensieri, facendoti infettare la vita, come un virus.