È una pasta… che dà le vertigini: se il 2020, con picchi mai visti di produzione e consumo, è stato il suo Everest, allora il 2021 è il K2, perché la normalizzazione dei consumi fa restare il gradimento verso questo piatto superiore ai livelli pre-pandemia, anche allora da record. E la contrazione che sembra caratterizzare l’anno in corso non scalfisce il trend che ha visto raddoppiato in 10 anni (2010-2020) il consumo di spaghetti &co, da quasi 9 a circa 17 milioni di tonnellate annue. Lo rivela Unione Italiana Food che, in occasione del World Pasta Day (25 ottobre), rende noti numeri e tendenze del piatto simbolo della cucina italiana.
Nell’atlante della pasta l’Italia resta il punto di riferimento per produzione (3,9 milioni di tonnellate), export (2,4 milioni di tonnellate) consumi e export. Ogni italiano ne consuma oltre 23 kg all’anno, staccando in questa speciale classifica Tunisia, 17 kg, Venezuela, 15 kg e Grecia, 12,2 kg. Il 2020 ha consolidato questa leadership, portando nelle dispense degli italiani 50 milioni di confezioni di pasta in più. Anche se la domanda si sta normalizzando, secondo Unione Italiana Food i consumi interni 2021 dovrebbero assestarsi su valori in linea o superiori rispetto al 2019.
Il Pianeta non ha mai mangiato così tanta pasta italiana come nel 2020. Nel complesso, è italiano 1 piatto di pasta su 4 mangiati nel mondo: con 3,9 milioni di tonnellate di pasta prodotte dai nostri pastifici, l’Italia si conferma leader mondiale della pasta, davanti a USA, Turchia, Egitto e Brasile. Forti di un primato riconosciuto nell’arte della pasta, più della metà della produzione italiana (il 62%) finisce all’estero. I paesi dove esportiamo di più sono Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Francia e Giappone, mentre quelli da dove arrivano le performance più importanti del 2020 sono Cina, Canada, Spagna e Arabia Saudita.
Con questi numeri, la pasta italiana è un vero e proprio termometro dei consumi globali e si nota come l’andamento del nostro export sia in linea con l’assestamento dei consumi registrato anche nel nostro Paese. Rispetto al gennaio/luglio 2020, l’export di pasta dei primi 7 mesi del nuovo anno segna un calo del 9,4% a valore, ma il confronto con i valori “pre-Covid” dello stesso periodo del 2019 evidenzia un +13%. Guardando ai volumi di pasta esportati verso i 5 mercati più strategici, quelli che assorbono più della metà del nostro export, è positivo il saldo verso Germania (+6%), Francia (+2%), Giappone (+4%) e soprattutto USA (+10%), mentre l’unico valore di segno negativo rispetto al 2019 arriva dal Regno Unito (-4%), conseguenza della Brexit. E c’è anche chi nel 2021 ha mangiato più pasta che nel 2020: soprattutto Corea del Sud (+18%) e Olanda (+5%).
I pastai italiani difendono il loro primato puntando su innovazione e qualità: il settore (che conta quasi 120 imprese, dà lavoro a oltre 10.200 addetti e genera un valore di 5,6 miliardi di Euro) investe in media il 10% del proprio fatturato in ricerca e sviluppo per rendere gli impianti sempre più moderni, sicuri e sostenibili e intercettare tendenze, cambiamenti degli stili di vita, nuove frontiere del gusto e della nutrizione, per garantire a tutti un piatto di pasta a prova di ogni esigenza. Così accanto alla pasta classica (ne esistono oltre 300 formati e rappresenta circa il 90% del mercato), ecco l’integrale, il gluten free, quelle con farine alternative e legumi e, addirittura, quella realizzata con la stampante 3D.
Numeri a parte, a rendere vincente la pasta è la sua capacità di intercettare quei trend che vedono il consumatore globale sempre più attento a modelli alimentari e prodotti sani, genuini, sostenibili, local e accessibili economicamente. E arriva dagli Stati Uniti, patria delle diete iperproteiche, un altro segnale positivo: per il quarto anno consecutivo, l’U.S. News & World Report ha eletto la Dieta Mediterranea, di cui la pasta è elemento imprescindibile, “migliore dieta del mondo” del 2021, vincitrice su 39 diverse alternative, il che fa ben sperare per il futuro di questo alimento anche in un momento particolarmente complesso per la crisi dei prezzi delle materie prime alimentari.