“Milano vicino l’Europa”. Milano è stata, l’Europa. E (forse) sarà ancora, l’Europa

Il Milan è stata la prima squadra italiana a vincere la Coppa dei Campioni, l’Inter la seconda. Poi vennero le “Scarpette Rosse” del Simmenthal….fino a Peterson e al Milan di Sacchi

 

“Milano vicino l’Europa…” cantava, il grande e bolognese Lucio Dalla, artista polivalente come pochi ne ha avuti la chançon italienne del Dopoguerra. In realtà la storia del boom economico, parallelamente a quella sportiva, raccontano di Milano che E’, l’EUROPA. Perché il 22 maggio 1963 il Milan del Paròn Nereo Rocco, triestino di origini austriache, toccava il cielo, di Wembley, tempio del Calcio mondiale, con le mani. Quelle del Capitano, Cesare Maldini, Papà di Paolo e nonno dell’attuale rappresentante rossonero, Daniele. Perché il Milan, in rimonta, aveva superato il Benfica di Eusebio, grazie a una doppietta di José Altafini, futuro commentatore sportivo di TeleMonteCarlo, oggi La7.

Di lì a poco l’altra metà di Milano, l’Inter, avrebbe conquistato il Vecchio Continente, in pratica un anno dopo. E, nel 1966, le mitiche “Scarpette Rosse” dell’Olimpia Milano abbinata Simmenthal, vinsero la Coppa dei Campioni. Quando vincere quella manifestazione significava molto, tantissimo. Perché giocava una per nazione più, al massimo, una detentrice, quindi una seconda, solo per un paese.

La Coppa dei Campioni sarebbe tornata nel club di Via Caltanissetta 21 (!) anni dopo, con Dan Peterson allenatore e Franco Casalini suo fido assistente, e la Famiglia Gabetti a metterci il danaro. Con una squadra forse irripetibile: D’Antoni play, Franco Boselli (Dino aveva lasciato poco prima, il gemello di Franco); Premier, Mc Adoo e Meneghin. Solo a nominarli, singolarmente e collettivamente, vengono i brividi.

Milano ieri sera ha visto i ragazzi di Ettore Messina vincere con una “bomba” da 3 punti di Davon Hall a 24 secondi dalla fine salvo poi difendere, senza commettere alcun fallo, fino alla sirena che ha sancito la quinta vittoria in 5 partite, per l’Olimpia del Signor Giorgio Armani, come lo chiama il Signor DINO MENEGHIN (il 19 novembre 2019 all’atto del ritiro della mitica #11 issata sul tetto del Forum di Assago, gara vinta 92-88 contro il Maccabì Tel Aviv, corsi e ricorsi, n.d.r.).

Il Barcellona gioca oggi e nelle precedenti 4 gare ne ha conquistate 2 ai tempi anzi al tempo supplementare. Milano no. Ne ha vinte 5 su 5 con 2 ottenute allo sprint. Significa che il guizzo lo hanno diversi, da Shavon Shields a Melli, dal Chacho Rodriguez (ieri sera ha fatto un passaggio dietro la schiena degno dell’N.B.A.!) a Devon Hall. Una squadra che in realtà, a leggere bene il roster, ne contempla due, forse due e mezzo, con 15 giocatori intercambiabili. Poi ci sta, per evitare la fregatura della scorsa stagione, eliminazione dalla parità della semifinale europea a 8 decimi dall’overtime e pesante sconfitta nella finale tricolore per 4-0, che Messina debba contare su almeno 9 giocatori, del pregiato totale messo a disposizione dal Signor Giorgio Armani.

Milano ha fatto parlare di sé nel passato. Lo sta facendo da quando uno dei simboli italiani nel mondo investe molti milioni di €. Lo farà ancora. Non capita, tutti i cicli, di scegliere uno della capacità di Ettore Messina. Anche quella di commettere errori. E ripartire dagli stessi. Perché giocare con 6-7 giocatori contati lo puoi fare in diverse piazze. Non all’ombra della Madonnina. Non a Milano. Che è, buona parte della STORIA, della PALLACANESTRO, dello SPORT, in senso assoluto. Perché sembra ancora di sentirla, quella meravigliosa opera di Lucio Dalla: “Milano vicino l’Europa… poi Milan e Benfica, Milano che fatica…”.