Didattica a distanza, i tempi cambiano
Didattica a distanza vs didattica in presenza. Da circa vent’anni, con la nascita degli atenei telematici e la loro progressiva diffusione su scala planetaria, sono diventate ricorrenti formule come ” insegnamento in presenza” e “insegnamento a distanza”. Con la prima si indica la didattica tradizionale, quella delle vecchie università dove l’insegnamento dovrebbe svolgersi, almeno in teoria, nello stesso ambiente che ospita docente e studente. Uso il condizionale perché, in realtà, la frequenza nella maggior parte delle facoltà non è obbligatoria: solo una minoranza di studenti, non superiore al 30%, di fatto frequenta la gran parte dei corsi universitari.
I motivi di questa diffusa non presenza alle lezioni ed alle altre iniziative didattiche (seminari, giornate di studio, convegni, ecc.) sono diversi. In primo luogo di natura economica: frequentare in modo costante, per 10 mesi l’anno, un corso universitario significherebbe per i fuorisede risiedere nella città dell’ateneo dove si è iscritti, sostenere cioè le spese del soggiorno: il vitto, l’alloggio e i trasporti, che si sommano alle tasse universitarie ed ai materiali didattici. Spese che vanno dai 1200 ai 1500 euro al mese. Non tutte le famiglie possono sostenere questi costi, soprattutto quelle dove ci sono più figli, semmai tutti in età da studi avanzati.
Non frequenza: cosa accade? Alla base della non frequenza c’è spesso la mancanza di tempo, anche per quelli che abitano nella stessa città dell’ateneo che frequentano. Per seguire due lezioni, fra i tempi degli spostamenti nella città e nell’università, si rischia di perdere una mattinata o un pomeriggio. Non ci si sposta perché si lavora, oppure perché si ha famiglia o un’età matura. Questi impedimenti sono in minima parte risolvibili o ridimensionabili, ad esempio con politiche sociali miranti a ridurre i costi dell’alloggio e delle tasse universitarie.
In breve, la maggior parte degli studenti non frequenta i corsi universitari e spesso incontra i docenti solo in occasione degli esami. La formula ” insegnamento in presenza”, riferita alle università, non indica una prassi reale e diffusa ma una pratica in larga parte minoritaria. Questo limite in realtà non rappresenterebbe un danno considerevole perché frequentare in presenza un corso significa, in buona sostanza, ascoltare in un’aula una serie di conferenze di un docente, senza interloquire o interagire con lui, senza alcuna verifica della comprensione e dell’apprendimento da parte dello studente. Se la formula ” insegnamento in presenza ” è in buona parte bugiarda non da meno è ambigua la formula ” insegnamento a distanza”.
Covid e didattica a distanza
Sembra sia stata necessaria la pandemia del Covid per scoprire che per tenere una lezione non sia necessario trovarsi tutti in una stessa aula; allo stesso tempo molti hanno pensato ingenuamente che per insegnare sarebbe stato sufficiente sedersi davanti a un PC, ad un’ora convenuta con gli studenti. Non si è capito che la didattica telematica prevede altre modalità di erogazione, di verifica dell’apprendimento parziale e complessivo, necessita di un apparato tecnologico complesso, in grado di interconnettere in modo sincronico anche decine di migliaia di utenti. Inoltre, la didattica telematica ha una possibilità di fruizione che per molti aspetti (ascolto delle lezioni, verifica dell’apprendimento, attività di elaborazione di etivity come temi, tesine, ecc.) è possibile 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno. Inoltre, ogni giorno lo studente ad un orario stabilito può interagire con il docente in teleconferenza, oppure attraverso le email. Il superamento della barriera spaziale permette di risolvere una serie di problemi di cui si è parlato più sopra, problemi legati allo spostamento degli studenti dalle loro residenze, con relativo risparmio economico e di tempo. Per ascoltare una lezione, per seguire un seminario, per parlare con un professore non serve prendere la metro, il treno o l’autobus, basta accendere il PC e ascoltare, parlare, confrontarsi.
Tradizione vs innovazione. L’ insegnamento tradizionale usa l’elemento primordiale della voce umana nello stesso ambiente in cui si trova lo studente. È statico, l’unico elemento di modernità è dato da un microfono che amplifica la voce. L’insegnamento attraverso la telematica è dinamico, utilizza le innovazioni e i progressi che questa giovane scienza fornisce, anno dopo anno, mese dopo mese, permettendo ad esempio di aggiornare il materiale didattico con frequenza anche giornaliera. L’ alternativa fra l’insegnamento telematico (a distanza) e l’insegnamento tradizionale (in presenza) è fuorviante. Nell’insegnamento e nella vita sarebbe poco intelligente privarsi della telematica, ma resta utile anche il contatto ” fisico” tra studente e docente. Non a caso tutte le università più avanzate, come quella in cui insegno, coniugano da anni queste due modalità di insegnamento ed interazione.
Prof. Enrico Ferri, professore di Filosofia del Diritto presso l’Università Niccolò Cusano