In uno scatto l’immagine ‘termica’ delle opere esposte nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, i punti caldi e le zone fredde, le temperature di ciascuno degli elementi inquadrati. A restituire ai ricercatori una fotografia non convenzionale di sculture e busti è un termoscanner capace di leggere l’infrarosso termico e offrire informazioni utili alla conservazione dei tesori del Mann. Questo è solo uno degli strumenti utilizzati nell’ambito di ‘Mann in colours’, progetto che, partendo dallo studio della cromia delle sculture del museo, diviene itinerario pilota per una visione a tutto tondo sulla tutela dei capolavori. E proprio lo studio sui colori ha consentito ai ricercatori di arrivare a nuove scoperte. Una su tutte è quella che riguarda l’Ercole Farnese. Nonostante l’opera sia stata più volte restaurata e maneggiata, le tracce di cromia non sono scomparse del tutto: l’Ercole aveva, infatti, dei colori. “Aver accertato, ad esempio, che Ercole aveva la pelle è un dato straordinario – ha spiegato Cristiana Barandoni, responsabile scientifico per il museo dei progetti “Mann in colours” ed “EcoValors” -. L’università di Reggio Emilia si sta occupando del campionamento e verosimilmente già prima di Napoli sapremo di che colore era la pelle di Ercole. Abbiamo già trovato un’alta percentuale di pigmenti di colore bruno. Sicuramente sappiamo che aveva la pelle, gli occhi e i capelli colorati”. Discorso analogo per la Venere Marina. A occhio nudo la scultura è completamente bianca, ma, grazie all’ultravioletto, si è invece scoperto che la veste della Venere presentava un disegno a spicchi e riquadri. “Si tratta – ha aggiunto Barandoni – di una veste identica a quella delle Danaidi che provengono da Ercolano. Anche questo è un dato straordinario”.
Il Mann intende mettere anche a disposizione dei visitatori le importanti scoperte della ricerca, e lo farà tramite la digitalizzazione. L’operazione è già in corso per le sculture della collezione Farnese, circa un centinaio di opere che rientrano in ‘Mann in colours’. “A conclusione del progetto – ha annunciato Barandoni – un centinaio di sculture sarà non solo digitalizzato ma, grazie a modelli 3D, verranno ricostruite le antiche cromie”.
“Il visitatore, semplicemente scansionando la didascalia, potrà vedere sul suo smartphone o tablet l’opera ricostruita con il rimontaggio dei colori originali. Sarà tutto molto intuitivo, semplice, alla portata di tutti. E non ci sarà nessuna ‘invenzione’: i colori saranno ricostruiti laddove erano effettivamente presenti”.
Alla ricerca sulla cromia si aggiungono le nuove rilevazioni svolte grazie a una partnership scientifica con l’università di Roma Tor Vergata (progetto “EcoValors”) e l’università di Perugia, cui si lega anche un supporto da parte dell’istituto di scienze del patrimonio culturale del Cnr. La rilevazione ambientale, in particolare, consente di definire una sorta di “stato di salute” delle aree che ospitano le statue: negli spazi del Mann sono stati installati dei sensori che captano, in intervalli di tempo predefiniti, la concentrazione di inquinanti. Presente anche un campionatore volumetrico per aspirazione d’aria, una piccola scatolina che permette allo scienziato di identificare le spore fungine in un ambiente: grazie all’intreccio dei dati, si può capire quali sono i rischi provenienti dall’esterno dell’edificio e le “minacce” naturali legate alla presenza umana in sala. Nel caso in cui gli esperti identifichino valori limite, dannosi per la tutela dei reperti, saranno adottate misure di contenimento, in particolare per una corretta circolazione dell’aria. Tornando all’analisi termografica, le indagini sono state avviate oggi con l’utilizzo di una termocamera Flir, una fotocamera digitale che rileva la radiazione emessa e riflessa nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso termico. “Questo aspetto – ha detto Alessia Allegrini, tecnologo Cnr- Ispc – è importante perché consente di identificare eventuali microfessurazioni, in cui si insinuano acqua e inquinanti vari, come organici e inorganici, potenzialmente dannosi per la conservazione del reperto.” Dalle prime analisi della mattinata, da suffragare con gli sviluppi di laboratorio, sono emerse le temperature medie apparenti dei capolavori: ad esempio, 22.3 gradi centigradi per l’Ercole Farnese rispetto ai 24.1 della sala.

(FONTE DIRE)