Dante Alighieri: ricorrono i ‘700 anni dalla morte del Sommo Poeta, inventore della lingua italiana. L’Italia, da Nord a Sud, celebra la ricorrenza attraverso varie attività. “Sono celebrazioni che cadono in un anno particolare, quello dell’uscita dalla pandemia e quindi l’anno in cui riscopriamo la voglia di scoprire territori – ha osservato Marxiano Melotti, docente di Sociologia del Turismo dell’Università Niccolò Cusano – l’attenzione nei suoi confronti è recente, parte intorno all’800, e con la nascita del Regno d’Italia abbiamo cominciato a ritenere Dante il padre nobile di questo Paese.”
Testimonial del sogno dell’Unità d’Italia
Dante Alighieri è “testimonial del nuovo sogno dell’Unità d’Italia, veste spesso di rosso, ha il naso imponente, ma non così brutto come lo disegnano, è un uomo non facile, con lo sguardo perennemente accigliato – ha affermato Vittorio De Bonis, a Mattina con noi – su Cusano Italia TV – usciamo dall’inferno della pandemia e speriamo di riveder le stelle. Oggi, Dante Alighieri, è parte integrante della linguaggio parlato, italiano, ci troveremo sempre a fare i conti con la sua eredità linguistica. In Inghilterra usano molto Shakespeare, nei loro modi di dire, noi usiamo Dante.”
Incapacità di fare sistema, ora come allora
La vicenda umana di Dante Alighieri ci restituisce la fotografia di “un perdente – così è stato definito su Cusano Italia TV da Marxiano Melotti – l’Italia ha scelto di farsi rappresentare da un perdente, un fuggiasco, non un condottiero. Dante ha perso la sua battaglia politica in un Paese fatto di guerre fratricide, divisioni territoriali. Ai tempi suoi c’era una incapacità di fare sistema in cui ancora oggi possiamo identificarci. Dante racconta frammentazione e non unità, racconta un’Italia fragile.”
Possiamo davvero ritenere Dante un perdente? “Un perdente di successo – ha aggiunto il critico d’arte Vittorio De Bonis – è sconfitto dalla sua storia, è un perdente visionario che segue un sogno.”