Presentato al Sundace, Worth è la vera storia di Kenneth Feinberg, affermato avvocato, democratico, esperto in mediazione e risoluzione delle controversie, che su sua istanza viene investito dall’amministrazione Bush di un ingrato compito: gestire il neonato Fondo di risarcimento delle vittime dell’11 settembre. Come prevede la legge, in qualità di mediatore, dovrà “indennizzare” amici e parenti delle vittime dell’attentato con un corrispettivo economico. Ma è possibile stabilire il valore monetario di una vita?
Sapere che valutare la vita delle vittime in termini economici non solo è possibile ma è stato fatto, fa letteralmente rabbrividire. Il bel film di Sara Colangelo, regista che arriva dal cinema indipendente, ha senza dubbio il merito di aprirci gli occhi su una spigolatura della tragedia forse poco nota. La questione è ovviamente assai spinosa, Ken (Michael Keaton) l’ha più volte affrontata nella sua vita professionale di legale e professore, ma mai in una simile declinazione. L’indelebile strage dell’11/09, infatti, richiede fin da subito un approccio inedito: l’elaborazione di una rigida formula che, in sintonia con la legge, basi la compensazione economica sul reddito della vittima sembra l’unica strada. In parte fallace, inadatta, ma soprattutto ingiusta, l’equazione fatica a garantire l’obbiettivo (convincere entro il 2024 almeno l’80% delle oltre 7000 vittime a sottoscrivere il fondo e rinunciare a far causa alle compagnie aeree, uno scenario – apprendiamo – catastrofico per l’economia del paese) e costringe l’uomo della legge a mettersi in discussione. Il dolore indicibile di umanità variegata quanto egualmente lacerata dal dramma delle Twin Towers, inconsolabile dalla legge dei numeri, insieme all’inadeguatezza delle istituzioni e della politica, faranno crollare l’approccio freddo e distaccato di Feinberg in favore della ricerca di maggior solidarietà.
A fare da contraltare all’interpretazione sobria ma autentica dell’avvocato di Keaton, sempre in bilico tra sentimentalismo e cinismo, in lotta con se stesso dopo che il suo algoritmo inumano fallisce nell’interfacciassi con la drammatica realtà, c’è un magnetico Stanley Tucci nel ruolo di vedovo affranto, messosi a capo del corposo gruppo di contestazione che chiede la revisione del Fondo. Perché le differenziazioni tra le vittime, che premiano le famiglie dei dirigenti a scapito di quelle dei normali lavoratori, sono inaccettabili e aggiungo dolore al dolore. Insieme ai casi particolari, situazioni delicate che le vittime hanno lasciato dietro di se, difficili da trattare con quell’obiettività che ha spinto Ken a lanciarsi nel rompicapo legale: figli nati da rapporti extraconiugali, coniugi che stanno morendo e necessitano di soldi subito per le cure, unioni omosessuali non legalmente riconosciute dallo stato di provenienza. L’epilogo, indulgente, ci spinge a considerare Feinberg e il suo team, dopo il cambio di passo, indiscutibilmente nel giusto perché meritevoli di aver fatto aderire il 97% delle famiglie. Ma non bisogna dimenticare il cinico quadro politico di contorno: in cambio della compensazione statale si rinuncia a citare in giudizio le corporation, che così riaffermano ancora una volta la propria ascendenza sull’amministrazione di turno.
Basato sul libro dello stesso Kenneth Feinberg, What is life worth?, ovvero quanto vale una vita, Worth – Il patto arriva direttamente sul piccolo schermo, reso disponibile su Sky e NowTV in occasione del ventennale dell’11/09, un 11 settembre visto a posteriori. Scegliendo di non riproporre neppure le immagini dell’attacco il film sposa la dolorosa prospettiva di chi resta e affronta il lutto. E merita la visione non solo per l’aspetto etico dell’affascinante quanto complessa premessa. Da biopic propone in pillole una serie di testimonianze tratte dai colloqui tra partenti e avvocati dello studio di Feinberg, il risultato è uno struggente collage di fatti e personaggi basati su vicende realmente accadute.