Su Amazon Prime Video il dramma legal che racconta la vera storia di Mohamedou Ould Slahi, detenuto per quattordici anni a Guantanamo senza alcuna accusa formale a suo carico nonché uomo più torturato nella storia della temibile prigione a stelle e strisce (che nonostante le tante promesse dei presidenti liberal è tutt’oggi in attività).

Incredibile true story che nasce come documentario indipendente per poi diventare una produzione hollywoodiana dal cast di stelle, The Mauritanian è la ricostruzione cinematografica della lunga prigionia di Slahi, raccontata nel suo libro di memorie Guantanamo Diary. Arrestato nel 2002 a casa della sua famiglia, in Mauritania, lui che lavorava ormai da tempo in Germania ma aveva un passato da combattente in Afghanistan e un cugino membro di Al Qaeda, viene condotto a Cuba sulla base di un terribile sospetto: potrebbe essere il reclutatore degli attentatori dell’11 settembre. Contro di lui però non ci sono prove, solo supposizioni, ciò nonostante viene trattenuto e torturato per anni nelle celle del campo di prigionia americano.

Quando la situazione sembra ormai senza speranza – la famiglia ne ha perso completamente le tracce – l’avvocatessa Nancy Hollander, paladina dei diritti umani e specializzata nella difesa di clienti scomodi, si interessa al caso. A interpretarla è Jodie Foster, premiata per il ruolo con il Golden Globe. Dall’altro lato della barricata c’è invece Benedict Cumberbatch, colonnello incaricato dal governo di formulare l’accusa. I vertici, impegnati nella caccia a Bin Laden, chiedono punizioni esemplari e hanno scelto proprio lui, avvocato che ha da poco perso un caro amico nella strage del World Trade Center. Ma l’ottimo Cumberbatch (che qui è anche produttore), militare dai sani principi, dovrà presto ricredersi mettendo da parte i pregiudizi difronte a un’evidente mancanza di prove.

Le orribili torture e i soprusi subiti dal protagonista sono senz’altro la parte più adrenalinica del film, che è molto legal e poco thriller ad eccezione di questi pochi brutali intermezzi. Il messaggio (o meglio il monito a non metter mai da parte il diritto in cambio della facile giustizia sommaria, soprattutto se si parla della prima democrazia del mondo) rischia di finire banalizzato dalla retorica del perdono a stelle e strisce, che assolve avvocati e accusati in un unico grande abbraccio finale esaltato dalle immagini del vero Slahi, un uomo senza dubbio speciale che nonostante le atrocità subite non ha mai perso il sorriso e la voglia di vivere aborrendo sempre la vendetta. Nota positiva per l’attore che presta il volto a un personaggio tanto particolare e interessante, il francese Tahar Rahim, protagonista che con la sua interpretazione regala al pubblico il beneficio del dubbio sulla sua innocenza, o colpevolezza. D’altronde ha pur sempre ricevuto una chiamata dal cugino con il telefono di Bin Laden e ospitato per una notte il membro di una cellula, vale la pena giocare su questo. Un’ambiguità volutamente irrisolta, con una sceneggiatura che rimarca l’importanza di fare attenzione con i temi di giustizia.