Carlo Verdone, medico mancato, per il 27esimo film con l’idea di essere semplicemente se stesso si cala nei panni di un chirurgo di fama: sotto i ferri della sua rinomata equipe composta da Anna Foglietta, Max Tortora e Rocco Papaleo ci finisce addirittura il Papa, ricoverato in gran segreto per una delicata operazione. Il professore, l’aiuto, l’anestesista e la strumentista, grande è la loro affermazione sul campo, totale l’insoddisfazione nel privato. Si frequentano anche dopo il lavoro proprio perché uniti non solo dal camice, ma anche dall’essere terribilmente disfunzionali, incasinati, cialtroni e soprattutto soli. In particolare passano il tempo ad accanirsi contro il povero Papaleo, vittima di quella goliardia meschina che aiuta il gruppo a smorzare lo stress e la tensione da sala operatoria. Le cose cambiano quando a quest’ultimo viene diagnosticata una malattia terminale e ai suoi compari/aguzzini spetta il compito di dargliene notizia. Non sapendo come fare si imbarcheranno in un mirabolante (forse) ultimo viaggio in Puglia, con la speranza di trovare la giusta occasione per affrontare la triste verità.
Si vive una volta sola è un film sull’amicizia con un grande twist alla base – ampiamente prevedibile – e dalla dimensione corale, ormai sempre più privilegiata da Verdone. Un Carlo, però, che si fatica a riconoscere, non tanto per l’ingerenza dei bravi comprimari quanto per le influenze esterne in fase di scrittura (Giovanni Veronesi e Pasquale Plastino hanno collaborato alla sceneggiatura). La comicità è troppo spesso gratuita e volgarotta – come nel caso delle gag che coinvolgono ‘la figlia del professore’ – in perfetto stile Vanzina, che da Verdone proprio non ci s’aspetta. Numerose le caduta di stile, troppi in siparietti a sfondo sessuale. Imperdonabili soprattutto le uscite infelici sull’universo femminile. Classica la trama, tragicomica l’ironia, tra il grottesco e il patetico nel tracciare il ritratto immaturo degli scalcagnati protagonisti.
Un film, tra l’altro, che non ha avuto vita facile in fase di distribuzione. Doveva incontrare il pubblico a quarant’anni da Un sacco bello, mitico esordio alla regia dell’attore romano, invece, causa covid ha subito ritardi su ritardi, anche un po’ maldestri. A un anno dalla data di uscita originale, con la manifesta intenzione dello stesso Verdone di voler uscire in sala a tutti i costo, finisce per approdare senza alcuna promozione in una manciata di sale per soli tre giorni, proprio nel momento della riapertura, e sbarcare direttamente su Prime Video a fare da titolo di punta del mese. Sulla gestione di tutta la faccenda ha espresso il suo rammarico anche l’ANEC, ricordando in un comunicato come il film sia stato sostenuto dal Ministero della Cultura e fosse un titolo atteso e di sicuro impatto, su cui i cinema puntavano. Ma d’altronde lo stesso regista in una recente intervista sembrava ormai rassegnato alla sorte, a Sorrisi e canzoni tv annunciando l’uscita su Prime aveva detto: “ho resistito fino a che ho potuto.. ma non ho grandi aspettative sui cinema, molta gente l’ha già visto nelle anteprime e il grosso della pubblicità era stato fatto”.