Il prof. Luigi Cavanna, direttore del dipartimento di Oncologia-Ematologia dell’Ospedale di Piacenza, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’imprenditore e gli altri” condotta dal fondatore dell’UniCusano Stefano Bandecchi su Cusano Italia Tv (ch. 264 dtt).

Sulla medicina territoriale e ospedaliera. “Dal 2010 al 2019 ci sono stati tagli continui alla sanità –ha affermato Cavanna-. Sicuramente ci sono stati e ci sono sprechi in sanità, però se si continua a tagliare poi non si possono portare a casa buoni risultati. La popolazione italiana è costituita in una parte importante da anziani, da malati con patologie croniche, come patologie cardiovascolari e oncologiche. Pensare di gestire la maggior parte di questi pazienti negli ospedali è strategicamente sbagliato. Chi ha una malattia cronica va curato fuori dall’ospedale, sul territorio, per migliorare la qualità di vita del paziente e per pesare meno sull’ospedale, che così potrebbe concentrarsi su emergenze e malattie acute. Da più di un anno ogni giorno dal bollettino quanti pazienti covid sono ricoverati in ospedale, quanti in terapia intensiva, come se tutti i malati covid dovessero essere curati in ospedale nelle terapie intensive. Parliamo di una malattia virale, altamente contagiosa, che per fortuna fa ammalare solo una parte di popolazione, ma questa parte che si ammala dobbiamo aspettare che si aggravi al punto da portarla in ospedale o possiamo curarla prima a casa? Io sono un medico ospedaliero e mi rendo conto che molte persone quando è possibile devono essere curate fuori dall’ospedale. Molti ospedali, soprattutto nella prima ondata, sono stati quasi completamente occupati da malati covid, sicuramente una parte di loro poteva essere curata fuori dall’ospedale. Per forza di cose dobbiamo trovare modelli nuovi, il modello della medicina ospedaliera che lavora isolata da quella territoriale sta mostrando tutti i suoi limiti. Se i medici dell’ospedale uscissero in modo organizzato sul territorio sicuramente capirebbero dinamiche che restando sempre in ospedale non capiscono”.

Sulle riaperture. “Quando sento miei illustri colleghi andare in tv e dire che bisogna chiudere e fare il lockdown provo una tristezza profonda, perché se un medico si ammala e sta a casa lo stipendio lo prende, ma chi invece chiude la propria attività non lo prende. Chi si occupa di scienza e di medicina deve fare uno sforzo più profondo e vivere nel mondo reale. Anche se io lo stipendio ce l’ho comunque, se incontro il ristoratore che ha chiuso, il barista che ha chiuso, il gestore di palestra che ha chiuso, mi devo chiedere: in che mondo vivo?”.

Sulla liberalizzazione dei brevetti dei vaccini anticovid. “Istintivamente viene da pensare che con una pandemia che ha messo il mondo in ginocchio, bisognerebbe liberalizzarli. Però l’industria investe tantissimo nella ricerca, se noi gli togliamo i profitti, attenzione… Ogni farmaco nuovo che viene immesso in commercio, viene immesso perché l’industria sponsorizza studi chimici di fase 3. Se non c’è chi fa la ricerca e porta il farmaco saremmo in una situazione di tragedia, quindi bisogna essere cauti”.