The Dissident del regista premio Oscar Bryan Fogel, è un docufilm necessario, crudo, shockante. Realizzato grazie ai finanziamenti della Human Rights Foundation, ripercorre la delicata quanto mai tragica vicenda dell’assassinio Khashoggi, voce libera, dissidente, giornalista del Washington Post nel 2018 vittima di un brutale omicidio politico. Jamal, trasferitosi negli USA per sfuggire alle pressioni che riceveva in patria, era da tempo sulla black list del regime saudita di cui era diventato convinto oppositore. Finito nel mirino, dalle colonne dei quotidiani, dal suo account Twitter, dai tanti talk show americani, continuava a sfidare apertamente la famiglia reale mettendo in dubbio la narrazione del principe ereditario Mohammad bin Salman. Conosciuta la compagna Hatice, che oggi lotta per i diritti umani e la libertà d’espressione in suo nome, se ne innamora ed è pronto a sposarla. Ma le carte per il matrimonio da ritirare in ambasciata si rivelano l’occasione per una perfetta imboscata.
Il nuovo documentario ricostruisce la terribile dinamica del delitto, perpetrato con ferocia e sangue freddo proprio tra le mura dell’ambasciata saudita ad Istanbul, riportando numerose testimonianze inedite frutto della cooperazione con le autorità turche. Le parole degli agenti sauditi che discutono di come eliminare il corpo, i filmati della polizia, gli attivisti in contatto con Khashoggi, un quadro di elementi vecchi e nuovi sapientemente giustapposti dal regista. Il risultato è un racconto agghiacciante. Fogel sceglie il linguaggio della spy story e confeziona un film per il grande schermo non solo sconvolge per i contenuti mostrati – è bene ricordare che tutto ciò che vediamo è accaduto realmente – ma anche appassionante e sempre dinamico nonostante la durata, importante, di due ore.
Un progetto, una storia, come si può facilmente intuire, che si scontra con forti interessi economici e geopolitici, risultando perciò poco gradita. Il racconto senza filtri dell’avventura umana e politica dell’attivista martire Khashoggi, eretto a simbolo della residenza, non ha avuto vita facile: nonostante l’entusiasmo registrato dopo la premiere al Sundance, nessun colosso dello streaming ha voluto saperne. Neanche Prime Video, come invece ci si sarebbe stato da aspettarsi, lo ha accolto nel proprio catalogo. Eppure The Dissident non solo è la memoria cinematografica di Jamal, giornalista del Washington Post, giornale di Jeff Bezos (patron dell’azienda leader dell’e-commerce nonché uomo più ricco del mondo) ma è anche il racconto dei discutibili metodi adottati dai sauditi. Il film spiega, tra le altre cose, come lo stesso principe MBS – recentemente ritenuto coinvolto nella morte di Khashoggi anche da un rapporto della CIA – qualche anno fa abbia inviato al CEO di Amazon tramite whatsapp un video contenente il virus Pegasus, una tecnologia utilizzata dal suo governo per trasformare gli smartphone in potentissime microspie. Il principe sarebbe quindi arrivato a spiare il telefonino del più grande dei super ricchi con cui stava, tra l’altro, per concludere importanti accordi commerciali andati in fumo a causa del terremoto mediatico provocato dalla vicenda Khashoggi.
La paura di compromettere i rapporti con la ricca monarchia saudita vale per gli stati come per i grandi fornitori di servizi. Il regista, Bryan Fogel, non ha dubbi: “c’è stato il desiderio di impedirne la distribuzione mondiale”. Si è parlato addirittura di tentativi di boicottaggio in rete, tramite la manipolazione dei voti del pubblico raccolti dai maggiori siti di recensioni. In Italia, fortunatamente, per la distribuzione si è fatto avanti Lucky Red. Chiunque voglia, perciò, può trovare lo straziante inno alla libertà di stampa, parola ed espressione che è The Dissident, sul sito MioCinema.it, nella sezione Originals.