Asia, film drammatico israeliano, è l’acclamato esordio della regista Ruthy Pribar. Con nove premi Ophir, i più importanti in patria, tra cui quello per il miglior film che lo proietta automaticamente verso gli Oscar (pur non rientrando tra i nominati alla fine), debutta in anteprima mondiale al Tribeca 2020, il festival di Robert De Niro. In Italia è disponibile in esclusiva digitale, solo su MioCinema nella sezione Original.

È la storia di Asia – da qui il titolo omonimo – e sua figlia Vika, madre single immigrata a Gerusalemme dalla Russia e ragazza diciassettenne in piena crisi adolescenziale. Quando le incontriamo attraversano una fase critica della loro vita. Già non particolarmente in sintonia, mamma e figlia devono fare i conti con la malattia di quest’ultima, degenerativa e pericolosa perché in grado di compromettere le funzioni motorie e respiratorie (non ne viene fatta menzione ma potrebbe trattarsi di SLA). 

Asia è ancora molto giovane, ha trentacinque anni e nonostante il duro lavoro da infermiera che le riempie le giornate è ancora uno spirito libero. Coltiva una vita sentimentale fatta di bar e discoteche. Quando le condizione di sua figlia peggiorano bruscamente, deve necessariamente allentare i ritmi. Inchiodata alle sue responsabilità, con l’improvviso riavvicinamento a Vika che ha perso il controllo del suo corpo e ha uno stato di salute precario, affronta una volta per tutte contrasti e frizioni latenti ora pronti a esplodere.  

La fotografia insiste sui volti delle due protagoniste, ritratti complessi e sfaccettati di una diversa femminilità: una madre (Alena Yiv) che non ha ancora sviluppato un vero istinto materno e una figlia (Shira Haas) che ne desidera fortemente l’affetto. L’espressività di due interpreti in grande sintonia ma anche il non detto che aleggia tra due donne che non sono abituate all’interazione – e che anzi la percepiscono come reciproca ingerenza – dettano i tempi di un film tutto in door costruito tra le mura di un appartamento e i corridoio dell’ospedale. L’idea nasce dall’esperienza diretta della regista, che anni fa perse la sorella in circostanze simili e qui ricorda gli sforzi e le sofferenze di sua madre.

Straziante ma anche sobrio e delicato, dall’emotività intensa e mai gratuita è la celebrazione del potentissimo legame madre figlia, nella sua declinazione più dolorosa. La natura schiva e ribelle di Vika e la libertà e la spontaneità di Asia sono destinate a scontrarsi nel momento più buio delle loro esistenze, per riportare alla luce l’amore sopito ma profondissimo che le unisce indissolubilmente. Per sempre, anche oltre la vita.