Il dramma francese di Alice Winocour racconta la storia di Sarah (Eva Green), un’astronauta madre di una bimba di otto anni che come altre sue colleghe prima di lei – le donne a cui il film è dedicato – è alla costante ricerca di un equilibrio che gli permetta di inseguire le proprie ambizioni siderali, senza trascurare gli affetti.
Finalmente sta per realizzare il suo sogno, è stata scelta all’ultimo minuto come membro di Proxima, la missione che separa l’umanità dallo sbarco su Marte. L’equipaggio, chiamato a trascorrere un anno sulla stazione spaziale internazionale, sarà il primo a perdere di vista la terra. È tutta una vita che aspetta questo momento ma una volta arrivato, sembra come se il duro lavoro, la passione, la capacità e l’attitudine per lei non bastino, le manca forse quel livello tale di inumana abnegazione che le permetta di distaccarsi dalla figlioletta Stella (non a caso) senza affrontare un secondo travaglio. Prima della partenza dovrà testare la sua tenuta fisica e mentale – il minimo errore può costarle l’estromissione – mentre convive con il senso di colpa per l’abbandono della figlioletta.
Il prezzo è alto, mentre Sarah è sicura di essere abbastanza forte da riuscire a pagarlo, il suo capitano, l’americano Mike, non è dello stesso avviso. Lo space cowboy di Matt Dillon, sessista e prevenuto, da subito non ripone in lei la giusta fiducia. Ostile e sprezzante, Sarah con la sua bravura e umanità conquisterà anche il suo rispetto.
Non è la prima volta che la regista francese Alice Winocour sceglie di dar voce ad anime in difficoltà, Proxima è il ritrattato intimo e concreto di una donna che è madre e lavoratrice. “È impossibile essere un astronauta perfetto ed è impossibile essere una madre perfetta” dice ad un certo punto Mike, rabbonito, mentre spende qualche parola di conforto per Sarah.
Le difficoltà legate alla maternità le conosciamo, ma quelle di una astronauta possiamo solo immaginarle. La fase preparatoria dell’addestramento, ciò che avviene sulla terra prima di ogni grande viaggio, per il cinema è un terreno quasi inesplorato. Raramente ci viene mostrato il lavoro di anni ed anni, necessario per lasciare il nostro pianeta alla volta dello spazio. La Winocour, con vocazione documentaristica, oltre al rapporto madre-figlia/padre-figlio che è al centro della maggior parte della fantascienza umanista prodotta negli ultimi anni, si preoccupa di raccontare in chiave di estremo realismo il percorso intrapreso dagli astronauti prima di arrivare alla ben nota fase del lancio.
Terminata la lavorazione nel 2019, l’anno successivo viene inserito nella lista dei film francesi papabili per l’Oscar internazionale. Girato nelle vere strutture dell’agenzia spaziale europea ha davvero poco di metafisico e rimane tenacemente ancorato al suolo con la sua protagonista che deve gestire l’ambizione professionale e i doveri genitoriali. I tempi dilatati e le atmosfere rarefatte impongono ai personaggi uno stato di continua attesa, aspettano l’ora X sospesi tra quarantene, allenamenti e test. A Star city, la città russa degli astronauti, tutto è impersonale e terreno. Il fantastico lo ritroviamo nella preziosa eredità di una madre che, tra sofferenze e sacrifici, insegna a sua figlia il valore dell’indipendenza e della determinazione.