Il nuovo film di Pupi Avati è tratto dal romanzo omonimo “Lei mi parla ancora – Memorie edite e inedite di un farmacista”, scritto nel 2016, a 95 anni, da Giuseppe Sgarbi, il padre di Elisabetta e Vittorio.
I coniugi Sgarbi, farmacisti e grandi amanti dell’arte, vivono assieme, in un casale nella Bassa padana, da 65 anni. Quando lei si ammala, arriva il momento di dirsi addio. Nino, un sorprendente Renato Pozzetto (che eredità il ruolo originariamente assegnato a Massimo Boldi, altro insospettabile), ha una “concezione della vita ottocentesca” e un matrimonio lungo più di mezzo secolo. Non riuscendo proprio ad accettare la scomparsa della sua Rina, continua a dialogarci in gran segreto. L’anima gemella lo abbandona solo fisicamente, e gli parla ancora, nell’intimità della loro camera da letto. Per aiutarlo a superare il lutto, interviene la figlia editrice (nella realtà Elisabetta Sgarbi con la sua La Nave di Teseo) che gli invia un ghostwriter. Amicangelo (Fabrizio Gifuni), scrittore dalla vita incasinata che si convince con la promessa di un’occasione per il suo romanzo a cui lavora da anni. Dopo un primo impatto traumatico, tra due personalità divergenti nasce una rara affinità. Mettere su carta le memorie, sarà per entrambi occasione di crescita e confronto.
Avati lavora su due piani temporali distinti, che non mancano di intrecciarsi per creare un unico flusso di coscienza e le giuste suggestioni per una storia di presente e passato. Ci mostra il matrimonio a Ferrara dei due giovani sposini che prima di salire all’altare si scambiano una tenera lettera in cui si promettono eterno amore, sentimento che gli garantirà “l’immortalità”. Un elemento di finzione che non troviamo nel libro, ma che rende bene – per contrasto – lo stato precario degli affetti moderni.
Lo spaccato dell’Italia d’un tempo, ricostruito nel film, non può essere più perfetto. Ma a raccontare ciò che è stato – ammette il regista, che ormai ha all’attivo cinquantadue film – non ha nessuna difficoltà, balbetta invece se gli si chiede di parlare dell’oggi. È da questo assunto che nasce lo scontro generazionale ben rappresentato dal duo Pozzetto-Gifuni.
Lei mi parla ancora è un film sulla vecchiaia, con il garbo e la compostezza propria di una tappa obbligata della vita. La narrazione, depurata dall’emotività più inutile, lascia spazio ad una grande performance attoriale, sincera e di rara profondità. Belle le commistioni volute da Avati, da Il settimo sigillo in un cineforum di paese ad Ariosto, Pascoli, Pavese, recitati nelle gare di poesia tra Nino e il cognato. “L’uomo mortale non ha che questo di immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia”, dice il protagonista poco prima dell’epilogo.
Girato nel pieno dell’emergenza coronavirus, nello struggente ultimo addio tra i due anziani coniugi riecheggia la voce di chi nei mesi più duri non ha avuto con se l’abbraccio dei cari.